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Collateral
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E' tornato Michael
Mann, con il suo personalissimo universo di cuori pulsanti tra le
highway delle metropoli americane. Michael Mann sta a Los Angeles
come Woody Allen a New York. Ogni film è un aggiornamento della
mappa topografica della metropoli californiana, ogni suo film è
il confronto scontro tra due personalità forti, in cui la classica
visione dicotomica del mondo in bianco e nero, buoni e cattivi si
frantuma in schegge impazzite ed in una miriade di sfumature grigie.
Ritorna l'impianto classico del cinema di Mann, in cui due uomini
si confrontano, si scontrano, si specchiano uno nell'altro scoprendo
il alto oscuro o candido della loro personalità, vivono uno
di riflesso dell'altro. In mezzo la città di Los Angeles che
con le sue mille luci, le sue strade il cui punto di fuga si perde
all'orizzonte, respira, ansima, detta i ritmi del racconto e assurge
a terzo incomodo protagonista della vicenda. Dialoghi essenziali,
asciutti che colpiscono duro dritto senza circonvallazioni o tangenziali;
non vi è morale nei film di Manna ma un'etica semplice che
risale al medioevo della storia americana, il mito della frontiera
e la conquista del west. |
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E’
sera. Sul finire degli affanni quotidiani un giorno qualunque sfuma
silenzioso in una notte come tante altre a Los Angeles tra migliaia
di corpi che brulicano e luci che si flettono. Nell’oscurità
dei vicoli e nell’eco di una confusione che ancora riecheggia
due uomini si incontrano. L’uno sale sul taxi dell’altro.
In poco tempo si avverte che sono linee geometriche. Rette in intersezione.
Fendenti che stridono. Nonostante questo sono collaterali. Paralleli.
Tom Cruise a Jamie Foxx sono i bagliori lenticolari di questo gioco
di specchi alla fiera filmica di Michael Mann, già autore di
pellicole quali L’ultimo dei Mohicani
e Heat-La sfida. Collateral
è un gran bel film. Uno scivolo in un parco giochi. Ti tiene
il fiato ma alla fine sei soddisfatto. Certo, tutto è opinabile
a questo mondo, ma se non vi accontentate solo di "vedere"
un film, ma correte ad aprirlo e scartarlo come un bel pacco dopo la
festa, non si può che rimanere impressionati. Mann agisce di
notte, scartavetrando la patina che Los Angeles si porta dietro da sempre,
rendendo il film a tratti intimista e malinconico. I movimenti della
macchina da presa sono versatili. Molti i primi piani smezzati quasi
in uno split screen naturale, riprende controcampi pieni sfocando i
soggetti con elasticità e le riprese in digitale aiutano le atmosfere
notturne a gelare i colori in un costante filtro blu elettrico. Molte
scene sono volutamente sporche e asimmetriche perchè la mdp sembra
nascondersi dietro ai vetri unti delle auto, ai tubi innocenti delle
strutture, ai parapetti, alle guide della metropolitana. Questo fa si
che la tensione resti alta e segua la buona sceneggiatura di Stuart
Bettie. Le luci e i colori durante il lungometraggio (specie all’inizio)
rimbalzano sulle superfici lisce e la rifrazione è una dinamica
importante in questo lungometraggio che si nasconde dietro le ombre.
Un thriller all'americana creato da chi sa fare cinema, ha esperienza
e idee valide. Il regista di Alì arriva in profondità
come un jab da sotto la guardia, un filtrante in area di rigore. Preciso,
determinato, quasi cinico. La miriade di riprese aeree senza sole sono
bellissime, inquadrando angoli di una città dai mille volti,
percorrendo la scia alternativa suggerita da Wim Wenders nel suo Land
of Plenty. Spezzare una lancia in favore di Tom Cruise mi sembra il minimo. Interpreta a dovere la parte del cattivo con ancora un soffio nel cuore, con qualche aforisma da terminatore e abilissimo con le armi. Un attore che c'è perchè sa recitare, che studia mesi prima i personaggi e la loro caratterizzazione psicologica, che non offre solo il volto del belloccio ma che ama il mestiere e si sa mettere in discussione. Didatticamente perfetto. I due protagonisti si sfiorano perlustrandosi le anime, invidiando segretamente qualcosa dell'altro, annusandosi come bestie colme di adrenalina e sogni svaniti. Il coyote attraversa la strada. Le pupille brillano. Gli occhi nel buio e dal play parte Shadow of the sun degli Audioslave. Il cerchio si chiude. Colonna sonora inebriante e compagna delle scene giuste, altro punto a favore. Se c'è una sbavatura e qualcosa che fa stonare forse il tutto è un pò il finale, che qui non riporto, ma che sa di forzatura e appanna forse tutto il bel lavoro prodotto nei precedenti 100 minuti di pellicola. Il film è coerente col genere, tiene la suspance e l'azione a un notevole livello, la regia è di quelle che non te ne accorgi, ma che se non ci fossero sarebbe un peccato. Una storia, una città, due linee parallele. Che geometricamente non s'incontrano mai. O quasi. La vita non è un tecnigrafo. [alessandro antonelli] |