Farà
discutere, non c’è dubbio. Il film del regista
rumeno Cristian Mungiu, vincitore della Palma d’oro
all’ultimo Festival di Cannes non lascerà indifferenti.
Per il tema trattato, per la fotografia intensa e cupa e per
l’eccellente interpretazione femminile.
Otilia (Anamaria Marinca) e Gabjta (Laura Vasilsiu) sono due
studentesse universitarie che alloggiano nel dormitorio di
una città romena. Gabjta affitta una stanza d'albergo
in un hotel di bassa categoria. Ha un piano, relativamente
definito: con l’essenziale aiuto dell'amica, deve abortire
(il titolo equivale al periodo della gravidanza). L’operazione
diventa possibile solo con l’intervento del losco signor
Bebe che rischia l’arresto, essendo l’interruzione
un reato.
La regia è pulita, con lunghe carrellate a spalla che
aumentano la partecipazione dello spettatore al dramma psicologico
che vive Otilia. E’ lei – un’intensa e lucida
Anamaria Marina – a portare il vero fardello e a scontrarsi
con la realtà. Accetta di svendere il proprio corpo
a Bebe per far sì che l’operazione avvenga, si
occupa del feto (istanti infiniti lo ritraggono), si scontra
con la violenza emotiva dell’accaduto.
Alle carrellate degli esterni, si alternano piani fissi sui
volti delle protagoniste, a volte persino oscurando gli altri
interpreti. Mungiu ha precisato: “Non è un film
sull'aborto né sulla dittatura di Ceausescu, come è
stato detto e scritto, ma la storia di due ragazze chiamate
per la prima volta a misurarsi con i risvolti drammatici dell'esistenza
e a prendere decisioni dolorose”. [valentina
venturi]