“Più
tempo aspetti e più sarà duro.” Con questo
slogan dal doppio senso volutamente inequivocabile, 40 anni
vergine descrive l’odissea di un bravo ragazzo, alle prese
con la sua prima volta all’alba dei suoi primi 40 anni.
Siamo nel campo della commedia americana più baccanale,
intestinale e elegantemente volgare, sulle orme dei pruriti
sessuali di un American Pie o dei
precedenti Porky’s. Impiegato
in un megastore di elettronica, Andy vive da solo, novello Peter
Pan nella sua Neverland piena di giocattoli mai aperti –
l’apertura della loro confezione farebbe perdere di valore
l’oggetto - videogame e ammennicoli di varia natura e
provenienza. Quando i suoi colleghi di lavoro scoprono il suo
stato “verginale” decidono di dargli una mano a
compiere quel “fatidico” e per molti traumatico
rito di passaggio dallo stato di pivello un po’ sfigato
a quello di uomo con la U maiuscola, con risultati facilmente
immaginabili sino a quando l’amore, non fa la sua trionfale
e scontata discesa in campo.
Potremmo chiudere qui la recensione, liquidando il prodotto
come fondo di magazzino giunto per caso o a riempimento post
festivo delle sale italiane. Certo... potremmo, ma prima bisogna
riconoscere un certo divertimento nella visione di questa commediucola
tanto sboccata (ma neanche troppo visto le premesse) quanto
innocua. Il protagonista, Steve Carell, qui al suo primo ruolo
da assoluto protagonista dopo essersi fatto notare – più
dai produttori che dal pubblico in verità – in
Una settimana da Dio e Melinda
e Melinda, risulta immediatamente simpatico da vivere
con leggera partecipazione alle sue disavventure, non mancando
magari di identificarci in alcune delle situazioni paradossali
in cui viene investito.
La fine è nota, come avere dubbi, ma l’affiatamento
del cast di contorno, alcune trovate geniale e battute fulminanti,
salvano un prodotto che sarebbe stato comunque buono per una
serata in casa tra amici. [fabio
melandri]
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