Chi da
piccolo non ha giocato al soldato, alla guerra. A turni essere
il prigioniero e chi il carnefice. Il “gioco dei ruoli”
nasce con noi, fin da bambini, lo abbiamo nei cromosomi. Ci
addestra inconsapevolmente al mondo che verrà, a prendere
posizione, a vedere le cose in un certo modo meglio che in
un altro. Le battaglie di un ragazzino sono meno crudeli di
quelle degli uomini, ma forse altrettanto difficili e titaniche.
Ma qui c’è un passato da ricordare e da rispettare,
passa attraverso i bambini e i loro occhi, arriva fino ai
nostri giorni. Parla di sacrificio.
La storia (quella vera) narra di Leonidis (interpretato dall’ottimo
Gerard Butler), Re di Sparta, che per respingere l’avanzata
dell’impero Persiano del semi-dio Serse composto da
più di centocinquantamila soldati, invia 300 tra i
migliori uomini (se compreso) ad attendere l’esercito
nemico che avanza al passo montuoso delle Termopili.
Una gola, un corridoio stretto e buio tra mura scoscese e
mare profondo dove il numero fa poca differenza nello scontro
fisico. Si racconta che gli avversari caduti nel sangue sotto
le lame degli opliti dopo qualche giorno fossero quasi ventimila.
Leonida, che nel film ha quarant’anni, ma che secondo
i libri al momento della disputa ne avrebbe avuti più
di sessanta, dopo un tradimento e il conseguente accerchiamento,
decide di sacrificare coraggiosamente se stesso e i suoi uomini
secondo le leggi morali di Sparta, dando il tempo necessario
alle truppe e agli alleati greci di arrivare per fronteggiare
il nemico orientale. Il corpo di Leonida, si dice, sia stato
conquistato per ben quattro volte dai persiani e combattendo
recuperato altrettante dai soldati spartani, prima di perire
sotto un nugolo di frecce nemiche. Sparta e gli alleati di
li a breve, racconta la storia, riuscirono, grazie all’immolarsi
di quei pochi a tenere testa all’impero avversario,
scoraggiando Serse nella conquista dell’attuale Peloponneso
e zone limitrofe. Sul campo di battaglia l’emissario
del Re persiano avverte “Le nostre frecce oscureranno
il sole!” - “Allora combatteremo nell’ombra”
replica un comandante oplita. Quando la luce si affievolisce,
morire è meno sereno. “Il sole c’è,
e adesso so che anche se muoio, muoio bene…” canta
la voce di Giulio Casale in un soave brano degli Estra.
Il
film nasce dallo spunto creativo di Frank Miller (in 300
è produttore esecutivo), celebre disegnatore, entrato
nel mondo del cinema grazie al recente Sin
City di Robert Rodriguez, che ne porta tutti i tratti
somatici e contenutistici. 300,
il fumetto, ha vinto premi e concorsi un po’ ovunque,
sbarcando a merito anche sul grande schermo dopo il positivo
esordio del primo esperimento. Le tavole della graphic novel
sono già di se per se una sceneggiatura e un grandioso
story board, al quale Zack Snyder ha cercato di attenersi
il più possibile. La fedeltà nel testo e nelle
inquadrature è coerente e sincera e forse proprio per
questo il film lascia intravedere qualche lacuna.
Il tutto appare sotto una veste cromatica notevole (il 90%
delle riprese è stato effettuato su green e blue screen
per le successive aggiunte al computer), i colori sono naturalizzati
proprio come nelle strisce di Miller e l’ombra permea
tutte le figure e i fondali come una fuliggine misteriosa.
Il taglio grafico è quello di una pubblicità
o meglio di un video-clip musicale, sferzante di energia e
movimento, facendo risaltare su tutto il rosso dei mantelli
spartani e del sangue che sgorga. Anche il ritmo di battaglia,
coadiuvato da un’incalzante colonna sonora a base di
rock rugginoso e potente, è alle stelle, parafrasando
appunto alcuni degli ultimi lavori di montaggio in campo video
musicale.
Zack Snyder, proprio con il remake de L’alba
dei morti viventi (2004), aveva dato il via ad una
nuova stirpe di zombie, una genia moderna di morti scattanti
super veloci e agili, in contro tendenza alle vecchie leggi
della fisica cinematografica di genere (una cosa simile è
da attribuire anche al talentuoso Danny Boyle e al suo 28
Giorni Dopo). Snyder è ineluttabilmente attratto
dalla velocità e dalla progressione ritmica e per questo
lo si potrebbe accostare con le sue figure in movimento rapido
a qualche tratto o elemento pittorico del futurismo di Carrà
o Boccioni. Il suo interesse sembra il dinamismo, ed è
qui che ce la mette tutta ricevendo dai dettagli un valore
aggiunto. Il corpo atletico ma mai eccessivo è un richiamo
alla bellezza achea, al fisico scultoreo dedito all’allenamento
e alla battaglia, un rimando alla mitologia greca e ai suoi
guerrieri.
E’ da questo dato di fatto che scaturisce il “minor
interesse” per i pochi dialoghi presenti, prediligendo
l’aspetto visivo. I colloqui tra i personaggi in assenza
di battaglia o movimento sono il punto debole di tutta la
struttura narrativa, statici e quasi noiosi, nonostante il
lirismo filtrato per la situazione e il particolare momento
storico susciti realismo e dilatazione temporale. I campo-controcampo
degli attori che ruotano intorno al film, dal perfido consigliere
Terone, all’affascinante Regina Gorgo (alla quale il
fumetto originale dedica un paio di pagine scarse ed è
doppiata davvero male dalla bella Anita Caprioli) non hanno
spessore, sembrano trascurati nonostante la sceneggiatura
provenga da un fumetto e quindi con tutte le licenze di libertà
creativa del caso.
I personaggi, che abitano un luogo a metà tra la storia
realmente accaduta e un mondo fantasy, si trovano a combattere
contro animali enormi, fiere selvagge, orchi invincibili ed
esseri dell’oscurità remota. In questo incedere
di nemici, quasi si fosse in un livello sempre crescente di
difficoltà di un videogioco dell’ultima generazione
(tra l’altro l’imperatore Serse è tale
e quale a Dalshim, personaggio del famoso Beat’em Up
per console Street Fighters), la falange spartana carica e
si riassembla, esce e colpisce, per poi ricompattarsi di nuovo,
lottando con un ghigno assetato, con gli elmi sferzanti sulle
teste fiere, coi denti digrignanti come demoni di chissà
quale dimensione. Quasi come se Leonida e Mefistofele in alcuni
frangenti del film si sovrapponessero, non per altro che per
la frase del Re oplita consapevole della gloriosa fine, “Stanotte
300 spartani dormiranno nell’Ade!”.
Quello che affascina nel profondo di questa creazione multimediatica,
qualunque sia il parere (non è un film, non è
un fumetto) è l’esempio. Quello di un uomo e
dei suoi fedeli combattenti, del loro ricordo tramandato per
secoli dopo leggende e relazioni storiche (una scultura ricorda
tutt’oggi i caduti delle Termopili sul luogo dove si
svolse la battaglia). Si racconta di una sconfitta, di una
decadenza, la memoria funebre ma con onore di una manciata
di uomini. La vittoria, stavolta, si esalta dall’altra
parte. Qua si celebra il coraggio, la coerenza e il sacrificio.
Sul punto di morte trafitto da una freccia uno spartano appannato
nel fiato si rivolge al suo Re, anch’egli morente “Mio
Re, è un onore morire al tuo fianco” - “…è
stato un onore aver vissuto accanto al tuo” mestamente
replica Leonida. Lo scoccare delle frecce farà il resto.
La sottile linea che divide eroi, antieroi e persone comuni
è sottile. I nostri sovrani o i nostri sudditi li abbiamo
accanto: sono amici, compagne, genitori, sconosciuti. Sono
vestiti in modo diverso, ma sono spesso quello che cerchiamo
oltre la realtà. Il quotidiano c’incanala in
decisioni che faranno di noi questo o quello, nel nostro piccolo
siamo tutto o non siamo niente. Basta scegliere. Non importa
avere addominali scolpiti o maschera e mantello. Perché
se tutto in questa vita assomiglia sempre più ad un
videogame, compresi i film, una cosa è certa. Morire
e riniziare dall’ultimo salvataggio non sarà
possibile. Game Over. [alessandro
antonelli]
| sito
ufficiale | sito
italiano | trailer
originale |