12
è il numero di giurati che devono decidere della vita
di un ragazzino ceceno accusato di aver ucciso il patrigno,
ex ufficiale russo coinvolto nelle operazioni in Cecenia.
Ma 12 è anche il numero
di universi che ad uno ad uno vengono fuori dalle testimonianze
di ciascuno dei giurati durante la riunione prima del verdetto.
Come in un’opera teatrale ognuno dei 12 giurati prende
la parola e recita un monologo. Chi a favore della colpevolezza,
chi a favore dell’innocenza. E quasi si perde di vista
la motivazione per cui queste 12 persone sono riunite nella
palestra di una scuola elementare. Dalla colpevolezza/innocenza
si passa alla vita, quella distrutta dalla guerra degli affetti
e dalla guerra vera, la stessa vita che adesso con un semplice
voto può essere distrutta o salvata.
Conta quindi la responsabilità ma anche l’appartenenza
ad una categoria che è tutt’altro che immacolata.
Superate le prime divergenze ognuno ha i propri scheletri
nell’armadio, le proprie fragilità, le proprie
insicurezze. Quasi una metafora del mondo che ci circonda.
Lo sguardo della gente è all’inizio ostile ma
forse basta un po’di comprensione per riuscire a scalfirne
la corazza di difesa che si è costruita. Difesa da
cosa poi? Dai sentimenti, dalla diversità, dall’altro
da sé. Tutto all’inizio sembra chiaro e non ci
sono dubbi sulla colpevolezza del giovane imputato ma basta
il semplice invito di uno dei 12 a parlarne un po’insieme
per ribaltare il verdetto. Si tratta di un ceceno non di un
russo come loro. La colpevolezza è scontata. Eppure
se ci si ferma un attimo a pensare, a riflettere ma solo un
attimo, allora si riesce a fare mente locale nel caos della
nostra anima. Scissa in più pezzi impossibili da ricomporre.
Nell’ottica di ciascuno in realtà non ci sarebbe
niente di cui parlare. Ed infatti non c’è niente
da dire sulla causa in corso contro il giovane “nemico”
ma piuttosto su se stessi. Risentimento, rivendicazione, ingiustizia,
dolore. Fanno tutti parte di noi, del nostro (in)quieto vivere.
E non si è impassibili di fronte alla propria sofferenza
che poi in un’altra dimensione è la stessa di
tutti gli altri. Ma si deve tornare alla realtà. La
legge impone una scelta. Colpevole o innocente. E se una scelta
alla fine viene fatta resta tuttavia aperto un interrogativo:
la libertà esiste? Vincitore
del Leone Speciale per l'insieme dell'opera alla 64. Mostra
del Cinema di Venezia. [marco
catola]