Il
terzo film di Alex Infascelli rimarrà alla storia
del cinema italiano forse più per il metodo di
distribuzione che per l’opera in se. Il regista
romano, in accordo con il Gruppo Espresso e La Repubblica,
non fa esordire nelle sale il suo lungometraggio come
sempre è stato da quando esiste il cinema, ma
sceglie un luogo onnivoro, uno spazio mediatico versatile
e al passo coi consumi: l’edicola.
Direttamente in DVD (al costo di 15,90 euro) senza passare
per il grande schermo, H2Odio
è il primo esempio di canale alternativo primario.
Alex Infascelli, considerato il poco entusiasmo del
sistema italiano del cinema a promuovere e rendere visibili
i prodotti minori o più coraggiosi, deluso dal
poter vedere il suo film in dieci sale in tutta Italia
e magari per cinque giorni appena di programmazione,
sceglie la vendita diretta in un discount, uno store.
La scelta è originale e coraggiosa, al passo
coi tempi, e figlia di un’analisi di mercato che
registra vendite dei supporti DVD sempre maggiori a
discapito della mono-visione da sala. La proposta è
valida, intelligente e curiosa e sicuramente aprirà
la strada ad altre opere simili o di equivalente spessore
artistico o culturale. I costi di gestione e produzione
per un canale simile sono minori, permettendo la vita
a molti piccoli lavori e mantenendo il livello qualitativo
sempre più alto nonostante un diverso uso della
promozione e vendita. Ognuno ne tragga le proprie opinioni
e conseguenze, considerando che DVD in vendita in edicola
e film in sala possono comunque convivere e darci più
scelta.
Passiamo
al film. Il terzo lavoro di Alex Infascelli è
un’esperienza sensoriale, visiva ed emotiva. La
storia vede cinque ragazze muoversi su di una barca
verso un’isola verde e deserta, dove in una casa
d’infanzia di proprietà di una di loro
convivranno una settimana confrontandosi con una dieta
a base di sola acqua, per snellire fisico e spirito
nel nome di chissà quale iniziatico rito pagano
o seguendo un paradossale e autolesionistico istinto
in vite che non hanno più molto da chiedere.
I primi giorni tutto andrà per il meglio, poi
i nervi inizieranno a saltare anche a causa del passato
che torna tra ombre e presenze fin troppo concrete.
Il regista, nato nel 1967 e amante di Lynch, si esprime
più con immagini e riprese oniriche che con una
forte consistenza narrativa - “Se fosse per
me farei volentieri film muti.” I dialoghi
sono spesso essenziali o fuori dal contesto reale come
fuochi fatui nella notte. L’uso di filtri cromatici
e momenti di intensa saturazione dei colori è
costante. L’uso della mdp è attentissimo
e i movimenti sono lentissimi ma curati e calcolati
fino all’ultimo fotogramma, puntando molto su
oggetti, particolari e primissimi piani. Infascelli
usa inoltre il grandangolo per storpiare i volti ed
evidenziare l’evoluzione della sofferenza dei
personaggi.
Potremmo definirlo un thriller, un giallo o un horror
alla “Infascelli” - “Con un po’
di presunzione posso dire che ho uno stile adesso, i
miei film si riconoscono”- che parte e finisce
silenzioso, ma in un crescendo continuo, diventando
piano piano angosciante e dispensatore d’inquietudini
(le immagini barcollano e la mdp spia in agguato dietro
agli angoli delle stanze). Oltre al già citato
Lynch, il retroterra e le reminiscenze sono senza dubbio
ascrivibili ai nomi di Cronenberg (per la biologica
inclinazione) e Van Sant (per la quieta visionarietà)
che rimandano flashback di opere tenute nel cuore.
Rispetto ai due precedenti lavori quest’ultimo
è sicuramente il più maturo e psicotico.
Almost Blue era un interessante
esordio, Il siero della vanità
uno splendido e grottesco manifesto della stupidità
socio televisiva. H2Odio
è un passo avanti per la tecnica e l'esperienza,
la forza delle immagini e dei colori ma un passo indietro
forse per l’intensità del messaggio.
Il film arriva a tratti, è un patchwork, un insieme
di frammenti e suoni che risulta spesso slegato nei
punti cardine. La sovrabbondanza di effetti e di suoni
(molto bella tuttavia la colonna sonora ed il sistema
di suoni-immagine) crea confusione, lo stile rischia
di diventare troppo carico. Ma come una canzone dei
Sonic Youth, un film di Infascelli è volutamente
irrazionale e quindi difficile (o inutile) da spiegare.
Come nel precedente film la figura della donna è
al centro del discorso, nel bene o nel male, una cattiveria
femminile o un romanticismo nero agli estrogeni.
L’elemento idrico è fondamentale. Le ragazze
arrivano dall’acqua, si cibano d’acqua,
sono insapore come l’acqua. H2O come flusso della
vita lieve e inconsistente, la trasparenza vacua dei
ricordi sul fondale degli anni perduti.
Forse il tema del doppio, la parentela, la defunta (gemelle/sorelle/passato/inconscio/turbamenti/pazzia),
sanno di già visto o rivisitato soprattutto in
questo genere.
L’acqua è il primo luogo di vita, la placenta
dove il feto si sviluppa e cresce, ci accoglie e protegge
come una tasca, una sensazione primordiale quindi. La
“sindrome del gemello evanescente” nei primi
tre mesi di gravidanza è una cosa che lascio
scoprire e comprendere dopo la visione del film, per
pensare ai nostri simili che forse non esistono o forse
esistevano ma noi siamo stati più fortunati e
adesso ne siamo qua a scrivere. Guardando come vanno
molte vite alla deriva, i momenti di tragedia e il generale
comportamento del mondo viene da esclamare: “fortunati
un cazzo!”. [alessandro
antonelli]
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