Diceva
Pirandello che il fascismo era come un tubo vuoto; ognuno
poteva metterci dentro ciò che voleva. Refrattario
ad ogni tentativo di sclerotizzazione, il fascismo non
fu mai del tutto un partito, rimanendo sempre un movimento;
ovvero c’erano quelli che, fuor di retorica, pensavano
davvero che Mussolini avesse il dono dell’infallibilità
come il Papa e quelli come Curzio Malaparte che gli
dedicarono un libro intitolato: Mussolini
il grande imbecille.
Proprio nella sua natura movimentista sta l’analogia
con la Lega Nord, nata in quel 1979 che fu un calderone
di fermento extraparlamentare a destra come a sinistra
(si pensi alla Bologna di Andrea Pazienza) e che segnò
l’irrevocabile naufragare dell’ideologia
verso il terrorismo cieco, quello più pericoloso,
dell’assenza di strategie e dello sparare nel
mucchio indistintamente.
Il documentario di Claudio Lazzaro, ex giornalista del
Corriere della Sera, è un tentativo di penetrare
attraverso le fauci della balena (Lega Nord) e di esplorarne
le viscere. Camicie verdi
nasce dalla necessità di ampliare la conoscenza
di un “partito” che ha segnato nel bene
e nel male la storia della Seconda Repubblica, permettendo
a Berlusconi di scendere in campo; facendosi portavoce
di istanze (federalismo e privatizzazione) sentite da
buona parte della popolazione del Nord, ma il cui accesso
nelle istituzioni era stato fin allora negato dal tappo
democristiano e socialista.
Tuttavia il momento temporale dell’indagine documentaristica
è il presente, con la tanto attesa devolution
votata in parlamento con il sostegno di Alleanza Nazionale,
il senatur Bossi ormai ridotto all’ombra di sé
stesso ma non del tutto escluso dalle leve del potere
e le oramai continue e sconcertanti perfomances dell’europarlamentare
Mario Borghezio. Il lavoro di Lazzaro traccia coraggiosamente
un solco, costituendo una risposta non esaustiva ma
rassicurante, di fronte alla carenza cronica di informazione
specie sulla Lega Nord, (fatta eccezione per il bel
libro di Paolo Rumiz, La Secessione
Leggera che risale al 1996). Alternando interviste
condotte personalmente dallo stesso Lazzaro a spezzoni
televisi di celebri momenti leghisti (le varie Pontida
e Venezia, peraltro filmata dallo stesso Moretti in
Aprile) Camicie
verdi offre una panoramica del movimento padano
decodificata attraverso il folklore razzista e becero
delle campagne e le ronde anti-immigrazione. Il titolo
allude ad un formazione parallela al partito e voluta
personalmente dallo stesso Bossi nel ’94, (le
Camicie Verdi) cui spetta il compito di fare volontariato
per il popolo padano. I fondatori delle ex camicie,
oggi più sobriamente volontari verdi, dovranno
essere ascoltati in Ottobre dal P.M veronese Guido Papalia,
accusati di aver creato un gruppo paramilitare. Con
la speranza che la magistratura faccia luce sull’intera
vicenda, assai ambigua ed inquietante (continua il parallelismo
tra Mussolini e le sue milizie volontarie per la sicurezza
nazionale e Bossi) il ritratto offerto è quello
di ragazzotti della Brianza, sbruffoni e molto ignoranti;
alla domanda: “quale ritieni che sia il testo
fondamentale per un giovane padano?” la risposta
suscita ilarità: “Certamente un bel
libro di Andreotti”. Durante la conferenza
stampa, alcuni leghisti tra i quali Corinto Marchini
(ex primo comandante delle camicie verdi tra i personaggi
chiave del documentario) hanno vivamente protestato
con l’autore per l’eccessivo sovraccaricarsi
dei toni folkloristici, per aver forse offerto un immagine
della Lega che già conoscevamo grazie a Blob.
“Credete che tutti i leghisti siano dei rincoglioniti
con le corna da vichingo in testa?” Personalmente
credo che il documentario di Lazzaro manchi di quella
articolata profondità che necessita una inchiesta
giornalistica seria; durante i comizi di Borghezio la
telecamera diventa pesante, la musica gonfia impetuosamente,
la voce fuoricampo (dello stesso Lazzaro) muta di timbro
e di registro, come se ci trovassimo ad assistere ad
una parata nazista a Norimberga, quando invece si tratta
“soltanto” di un sagra paesana a base di
polenta organizzata davanti ad uno spiazzo dove dovrà
sorgere una moschea. Insomma come dice il sempreverde
Moretti “le parole sono importanti”,
ma bisogna anche vedere chi le pronuncia. Una volta
mi capitò di ascoltare una conversazione tra
due anziani, era appena scoppiata la guerra in Iraq;
il primo esclama: “Eh, a’ visto, e gl’
hanno attaccato anche l’Iracche vesti ameriani!”
il secondo rimbrottava: “Eh, se c’era
ancora la Russia con Baffino (Stalin non D’Alema)
e tu lo vedevi se attaccavano!" Confesso di
essermi messo a ridere, cosa avrei dovuto fare gridare
al Bolscevismo? Insomma non possiamo dirci stupiti se
un vecchio paesano non riesce a pensare in maniera multiculturale;
differente cosa se a farlo è un giovane. La Lega
come dicevamo all’inizio è un movimento,
c’è dentro un po’ di tutto, ma diventa
eccessivamente strumentale prendere in esame una sola
componente (quella più becera e razzista) e criminalizzare
in toto quello che comunque è un bacino elettorale
numericamente considerevole. Come se facessimo un documentario
su Rifondazione tutto incentrato nei contenuti e nei
toni su Caruso, oppure (Dio ce ne scampi) sul trozkista
Ferrando… [matteo
burioni]
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