Camicie verdi - Bruciare il tricolore

 
Regia
Claudio Lazzaro
Sceneggiatura
Claudio Lazzaro
Montaggio
Clelio Benevento
Fotografia
Gianpaolo Conti
Riprese
Antonio Montellanico
Musica
Antonio Iasevoli
Anno
2006
Durata
90'
Nazione
Italia
Genere
documentario
Distribuzione
Dolmen Home Video
Dischi
1
Regione
2 - Europa / Giappone
Diceva Pirandello che il fascismo era come un tubo vuoto; ognuno poteva metterci dentro ciò che voleva. Refrattario ad ogni tentativo di sclerotizzazione, il fascismo non fu mai del tutto un partito, rimanendo sempre un movimento; ovvero c’erano quelli che, fuor di retorica, pensavano davvero che Mussolini avesse il dono dell’infallibilità come il Papa e quelli come Curzio Malaparte che gli dedicarono un libro intitolato: Mussolini il grande imbecille.
Proprio nella sua natura movimentista sta l’analogia con la Lega Nord, nata in quel 1979 che fu un calderone di fermento extraparlamentare a destra come a sinistra (si pensi alla Bologna di Andrea Pazienza) e che segnò l’irrevocabile naufragare dell’ideologia verso il terrorismo cieco, quello più pericoloso, dell’assenza di strategie e dello sparare nel mucchio indistintamente.
Il documentario di Claudio Lazzaro, ex giornalista del Corriere della Sera, è un tentativo di penetrare attraverso le fauci della balena (Lega Nord) e di esplorarne le viscere. Camicie verdi nasce dalla necessità di ampliare la conoscenza di un “partito” che ha segnato nel bene e nel male la storia della Seconda Repubblica, permettendo a Berlusconi di scendere in campo; facendosi portavoce di istanze (federalismo e privatizzazione) sentite da buona parte della popolazione del Nord, ma il cui accesso nelle istituzioni era stato fin allora negato dal tappo democristiano e socialista.
Tuttavia il momento temporale dell’indagine documentaristica è il presente, con la tanto attesa devolution votata in parlamento con il sostegno di Alleanza Nazionale, il senatur Bossi ormai ridotto all’ombra di sé stesso ma non del tutto escluso dalle leve del potere e le oramai continue e sconcertanti perfomances dell’europarlamentare Mario Borghezio. Il lavoro di Lazzaro traccia coraggiosamente un solco, costituendo una risposta non esaustiva ma rassicurante, di fronte alla carenza cronica di informazione specie sulla Lega Nord, (fatta eccezione per il bel libro di Paolo Rumiz, La Secessione Leggera che risale al 1996). Alternando interviste condotte personalmente dallo stesso Lazzaro a spezzoni televisi di celebri momenti leghisti (le varie Pontida e Venezia, peraltro filmata dallo stesso Moretti in Aprile) Camicie verdi offre una panoramica del movimento padano decodificata attraverso il folklore razzista e becero delle campagne e le ronde anti-immigrazione. Il titolo allude ad un formazione parallela al partito e voluta personalmente dallo stesso Bossi nel ’94, (le Camicie Verdi) cui spetta il compito di fare volontariato per il popolo padano. I fondatori delle ex camicie, oggi più sobriamente volontari verdi, dovranno essere ascoltati in Ottobre dal P.M veronese Guido Papalia, accusati di aver creato un gruppo paramilitare. Con la speranza che la magistratura faccia luce sull’intera vicenda, assai ambigua ed inquietante (continua il parallelismo tra Mussolini e le sue milizie volontarie per la sicurezza nazionale e Bossi) il ritratto offerto è quello di ragazzotti della Brianza, sbruffoni e molto ignoranti; alla domanda: “quale ritieni che sia il testo fondamentale per un giovane padano?” la risposta suscita ilarità: “Certamente un bel libro di Andreotti”. Durante la conferenza stampa, alcuni leghisti tra i quali Corinto Marchini (ex primo comandante delle camicie verdi tra i personaggi chiave del documentario) hanno vivamente protestato con l’autore per l’eccessivo sovraccaricarsi dei toni folkloristici, per aver forse offerto un immagine della Lega che già conoscevamo grazie a Blob. “Credete che tutti i leghisti siano dei rincoglioniti con le corna da vichingo in testa?” Personalmente credo che il documentario di Lazzaro manchi di quella articolata profondità che necessita una inchiesta giornalistica seria; durante i comizi di Borghezio la telecamera diventa pesante, la musica gonfia impetuosamente, la voce fuoricampo (dello stesso Lazzaro) muta di timbro e di registro, come se ci trovassimo ad assistere ad una parata nazista a Norimberga, quando invece si tratta “soltanto” di un sagra paesana a base di polenta organizzata davanti ad uno spiazzo dove dovrà sorgere una moschea. Insomma come dice il sempreverde Moretti “le parole sono importanti”, ma bisogna anche vedere chi le pronuncia. Una volta mi capitò di ascoltare una conversazione tra due anziani, era appena scoppiata la guerra in Iraq; il primo esclama: “Eh, a’ visto, e gl’ hanno attaccato anche l’Iracche vesti ameriani!” il secondo rimbrottava: “Eh, se c’era ancora la Russia con Baffino (Stalin non D’Alema) e tu lo vedevi se attaccavano!" Confesso di essermi messo a ridere, cosa avrei dovuto fare gridare al Bolscevismo? Insomma non possiamo dirci stupiti se un vecchio paesano non riesce a pensare in maniera multiculturale; differente cosa se a farlo è un giovane. La Lega come dicevamo all’inizio è un movimento, c’è dentro un po’ di tutto, ma diventa eccessivamente strumentale prendere in esame una sola componente (quella più becera e razzista) e criminalizzare in toto quello che comunque è un bacino elettorale numericamente considerevole. Come se facessimo un documentario su Rifondazione tutto incentrato nei contenuti e nei toni su Caruso, oppure (Dio ce ne scampi) sul trozkista Ferrando…
[matteo burioni]