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[matteo
lenzi] |
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Titolo
it. |
Lo
sfregiato |
Titolo
or. |
Scarface |
Regia |
Howard
Hawks |
Sceneggiatura |
B.
Hecht, W.R. Burnett, H. Hawks, J.L. Mahin, S.I.
Miller, F. Pasley
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Montaggio |
Edward
Curtiss, Lewis Milestone |
Fotografia |
Lee
Garmes,
L.W. O'Connell |
Scenografie |
Harry
Olivier |
Musica |
Gustav
Arnheim,
Adolph Tandler |
Interpreti |
Paul
Muni, Borris Karloff, Ann Dvorak, Karen Morley,
Osgood Perkins, Henry Armetta, Vince Barnett,
Maurice Black |
Anno |
1932 |
Durata |
90' |
Nazione |
USA |
Genere |
poliziesco |
Produzione |
Caddo
/ United Artist |
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Trama |
Storia
ispirata alle vere gesta di Al Capone, narra la scalata
al potere di Tony Camonte. Diventato finalmente il numero
uno di tutta la criminalità organizzata di Chicago,
commette un errore a causa della gelosia per sua sorella
Cesca, uccidendo l' amico e complice Rinaldo. |
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Analisi
del film |
Capolavoro
del gangster-movie, questo film appare nelle sale nel 1932,
dopo due anni di lotta con la commissione di censura. È
in effetti un film “estremo” sotto molti punti
di vista, formali e contenutistici. Innanzitutto l’argomento
trattato: mutatis mutandis, è la storia di Al Capone,
visto come il più illustre appartenente ai “Borgia
dell’epoca moderna”, così volle presentarlo
Hawks attraverso la sapiente sceneggiatura di Ben Hecht.
In particolar modo disorienta il modo in cui ci viene presentato
il protagonista, Tony Camonte: una macchina di morte priva
del minimo scrupolo, che uccide con la stessa facilità
con cui cambia d’abito, un essere assetato di potere,
eppure (complice la straordinaria interpretazione di Paul
Muni, attore teatrale fino ad allora semisconosciuto) capace
di suscitare una inspiegabile simpatia, con la sua ingenua
faciloneria che spesso trascolora nel naif (Ti piace la
mia casa? - Un po’ vistosa… - Ah, grazie, sono
contento che ti piaccia!).
Hawks si premurò (o forse è meglio dire che
lo fece il produttore Hughes, per addolcire la commissione
censura) di far precedere il film da un’introduzione
moraleggiante di condanna al malcostume imperante ed ai
personaggi come Camonte, chiedendosi se il governo avesse
intenzione di porre fine a questa vergogna (The
Shame of A Nation era il sottotitolo del film in
America); disseminò il film di riferimenti al fatto
che certi personaggi venivano presentati più come
degli eroi, delle star, che come che come delinquenti, e
arrivò a far dire ad un personaggio che addirittura
se ne facevano dei film (!). C’era ovviamente ben
salda nella mente di Hawks (prima ancora di Scorsese) la
consapevolezza che da sempre la violenza esercita un fascino
perverso, che è connaturata all’uomo. L’analisi
di Hawks infatti va ben al di là dell’apparente
moralismo, artificiosamente inserito qua e là per
ragioni meramente “diplomatiche”; sotto questa
superficie i segnali sono ben evidenti.
Da un punto di vista formale il film riesce ad essere contemporaneamente
rigoroso (nella ricostruzione delle scene) e innovativo,
per il taglio espressionista che, apparentemente, mal si
attagliava ad una vicenda tratta dalla realtà. E
si presenta subito bene, con un piano sequenza tra i più
famosi del cinema, tre minuti in cui la mano sapiente di
Hawks ci porta in medias res, e ci mostra, attraverso l’artificio
delle ombre cinesi, uno dei tanti omicidi di cui si rende
colpevole Camonte. L’ellissi viene ampiamente utilizzata
durante il film, per descrivere gli omicidi di Tony, che
invece significativamente non viene risparmiato dall’esecuzione
“pubblica” (in tutti i sensi, visibile ai personaggi
quanto allo spettatore), nel finale del film. L’omicidio
è spesso nello sguardo di chi lo subisce, o di chi
vi assiste, o addirittura resta semplicemente il rumore
di uno sparo udito da un corridoio adiacente.
Colpisce anche la disinvoltura con cui viene trattata la
morbosa gelosia di Tony per la sorella Cesca, che fa intuire
uno scandaloso (soprattutto per l’epoca) trasporto
incestuoso nei suoi confronti (mirabile la scena, ricca
di ambiguità ed erotismo, in cui le si scaglia contro
dopo averla sorpresa con un amante, nonostante, in effetti,
venga semplicemente strappato un laccio della veste). Tutto
contribuisce a darci il ritratto di una personalità
titanica e accentratrice, figlia del proprio tempo, in cui
ogni gesto, ogni rapporto, viene usato come un tentativo
di prolungare all’infinito il proprio ego, tentativo
destinato all’autodistruzione su tutti i fronti, e
mostrato con tutte le possibili modalità espressive,
comica (l’ostinazione a servirsi di un “segretario
personale” palesemente incapace), melodrammatica (il
rapporto con Cesca), grottesca (l’assassinio di Gino),
tragica (l’esecuzione finale).
Interessante notare come nello stesso anno uscì un
film altrettanto coraggioso, Freaks
di Tod Browning, che senza false ipocrisie affrontava il
tema del diverso (i “freaks” sono letteralmente
gli scherzi di natura, individui nati con pesanti deformità
corporee). In questo caso la deformità viene usata
come pietra di paragone per confrontarla con un altro tipo
di “deformità” (la bellissima ballerina
si rivela il personaggio più abietto del film), in
un capolavoro di “verismo cinematografico”.
Dall’altro lato in Scarface
lo sfregio del protagonista diviene espressione della sua
deformità morale, ma approfondendo meglio diventa
più universalmente il simbolo della “bruttezza
morale”, che viene attribuita per quieto vivere a
Tony, ma che viene prodotta da quella stessa società
che poi lo espelle come un corpo estraneo. Chi viene condannato
qui non è tanto Camonte, capro espiatorio, ma il
“sonno della ragione” che ha generato il mostro,
e che alla fine di questo mostro si nutre per alimentare
la propria patologica decadenza, fatta di un insanabile
iato tra le megalomani aspettative che può generare
(“Il mondo è vostro”, recita ironicamente
nel piano sequenza finale il cartellone luminoso sullo sfondo)
e le pulsioni di morte che inevitabilmente le accompagnano.
Non ci stupiamo che all’epoca venne colto principalmente,
nella migliore delle ipotesi, l’aspetto di film d’azione
predicatorio, nella peggiore un abile camuffamento di un
messaggio eversivo. Il tempo, come spesso succede, fa giustizia,
ed oggi possiamo a ben diritto apprezzarlo come un inquietante
e lucido viaggio all’interno del contraddittorio animo
umano e dei suoi più oscuri risvolti. |
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Il
regista: Howard Hawks |
Howard
Hawks nasce a Goshen, nell’Indiana (USA), nel 1896.
Partecipa alla prima guerra mondiale come pilota di caccia
(esperienza che si rifletterà in alcune delle sue
prime opere, come La squadriglia
dell’aurora del 1929 e Avventurieri
dell’aria del 1939), intraprendendo in seguito
una lunga e prolifica carriera cinematografica (già
a partire dall’epoca del muto, nel 1926), caratterizzata
da eclettiche incursioni in numerosi generi. Sebbene alcune
opere abbiano stampo dichiaratamente commerciale, altre
si distinguono invece per la notevole importanza storica
e per il contributo all’evoluzione della settima
arte. Oltre a Scarface (1932),
forse il miglior gangster-movie di sempre, notevoli
sono
stati i risultati nella “sophisticated comedy”
(Susanna, del 1938, e Gli
uomini preferiscono le bionde, del 1953), e nel
noir (Il grande sonno, del
1948, tratto dall’omonimo romanzo di Raymond Chandler,
di
cui riesce trasmettere alla perfezione l’atmosfera
di decadenza e
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“stanchezza morale”); trova poi il suo genere
più congeniale nel western, che si caratterizza per
un approccio atipico, votato più allo scavo psicologico
dei personaggi che alla rappresentazione del mito americano
(Il fiume rosso, del 1948 e
soprattutto Un dollaro d’onore,
del 1959, in cui le dinamiche di un piccolo gruppo hanno
la netta prevalenza sulla coralità della storia).
Muore nel 1977, all’età di 81 anni. |
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