All'interno della rassegna “Viaggio
nel cinema americano”, a cura di Antonio Monda
e Mario Sesti, presentata dalla Festa del Cinema, Studio
Universal (Sky) e dalla Fondazione Cinema per Roma,
abbiamo incontrato Tim Burton uno dei registi più
visionari e talentuosi del panorama cinematografico
internazionale, premiato nel settembre scorso con il
Leone d'Oro alla Carriera alla Mostra Internazionale
d'Arte Cinematografica di Venezia.
In una sala gremita di fans scatenati, mascherati dai
personaggi freak che colorano i film di Burton, Burton
ha raccontatao di se, delle sue opere, sei suoi punti
di riferimento, tra sequenze di film immortali come
Ed Wood, Batman, Big Fish, Mars Attack e l'anteprima
di due brevi sequenze del suo musical di prossima uscita
Sweeney Todd.
La sua carriera iniza come animatore
per la Disney. Cosa ha imparato da quell’esperienza
e cosa non le è piacito?
Quello che ho imparato è che sono un terribile
animatore. Non riuscivo a disegnare ne le volpi, ne
i cani carini e gentili, non ero tagliato per fare l’animatore
della disney. Ma amo l’animazione quindi sono
stato fortunato per passare ad altri tipi di animazione
come la stop-motion.
Un critico ha detto che lei è
il primo ad aver creato una poetica del dysfunctional
kid, del bambino svantaggiato disfunzionale. Si riconosce
in questa definizione?
Sono stato un bambino disfunzionale e sono un adulto
disfunzionale…
Tra i miti della sua gioventù,
c’è Vincent Price che ha utilizzato in
alcuni dei suoi primi film. Ci spiega il rapporto con
lui?
E’ stato uno di quegli attori che amavo da ragazzino,
che in un certo senso riusciva a dirmi qualcosa, aiutandomi
ad attraversare la mia infanzia. Il mio primo corto
si chiama effettivamente Vincent.
All’epoca ero un giovane animatore alla Disney.
Gli ho mandato il progetto e lui mi ha richiamato dicendomi
che aveva piacere a realizzare questo corto.
Quando l’ho incontrato ho conosciuto una persona
molto disponibile, aperta, interessata a tante cose,
un collezionista d’arte; la prima brava persona
incontrata nel mondo di Hollywood.
I suoi personaggi si chiamano
spesso Edward… come mai?
Ed Wood si chiamava così. Per Edward mani di
forbice ed altri personaggi, non lo so... Suona bene,
scorre bene e poi forse dopo Edward mani di forbice
l’ho utilizzato proprio perchè questo film
è molto particolare a cui sono molto affezionato.
Riguardo ad Edward mani di forbici
Vincent Price ed Johnny Depp hanno detto che Edward
è Tim Burton. Cosa ne pensa?
Prima di tutto
penso che Johnny
è molto più carino di me. Questo è
un film molto personale, che viene da dentro e sono
stato fortunato ad aver trovato un attore che ha capito
tutto questo, che ha capito molti aspetti di me ma anche
di se stesso, perché in questo personaggio c’è
molto anche di Johnny…
A proposito di Batman. La sua
è una rivisitazione molto personale. La cosa
che più salta agli occhi è la sofferenza
del personaggio.
In un certo senso questo film è stato un modo
per tornare alle origini del fumetto. Facendo una rivisitazione
più dark.
Dopo il sequel avrebbe dovuto
dirigere anche il terzo episodio, che invece ha solo
prodotto. Cosa è successo?
Non hanno voluto che lo dirigessi, in realtà.
Ho disturbato i giganti del fast food a cui non erano
piaciute le mie versioni dark e non piacevano le cose
nere che uscivano dalla bocca del Pinguino.
Come è nata l’idea
di un film così comico e nello stesso tempo amaro,
satirico come Mars Attack?
Il film è ispirato a una serie di carte usate
negli Anni '50 da cui ho tratto le immagini. Nasce comunque
dalla confusione che io all’epoca provavo per
la situazione politica americana. E’ stato un
modo per esplorare questo conflitto politico. Io mi
sentivo un marziano di fronte a questa confusione. Tra
l’altro ho fatto questo film dopo Ed Wood ed in
questo caso ero io Ed Wood.
In una scena del film Ed Wood,
considerato il peggior regista di tutti i tempi, incontra
Orson Welles considerato il miglior regista di tutti
i tempi. L’idea di fondo di quella scena è
che forse entrambi devono affrontare i medesimi problemi.
Uno dei temi che mi interessava era la sottilissima
linea che corre tra fallimento e successo. Nel processo
di realizzazione di un film, indipendentemente dal successo
che hai, ti trovi ad affrontrare tutta una serie di
problematiche che sono comuni sia a chi ha successo
come a chi non lo ha.
Lei è noto per avere un
grande talento visivo, ma rivedendo i suoi film, ci
si rende conto che lei riesce a trarre spesso e volentieri
il meglio da un attore, a partire da Johnny Depp fino
a Martin landau e Jack Nicholson. Come è possibile
che questo dysfunctional kid sia poi diventato così
bravo a comunicare con gli attori?
Perché in realtà lavoro con persone pazze
come me e così ci intendiamo. A questi attori
piace cimentarsi in cose nuove come a me piace provare
cose che non ho mai fatto prima. Martin Landau per esempio
ha fatto film eccellenti alternandoli a film di poco
successo. Questo gli ha permesso di capire e reintrerpetare
al meglio la figura di Bela Lugosi in Ed Wood.
A proposito di Big Fish, fino
a che punto la convinzione che le cose che sono malvagie
sono solo prive di buone maniere è qualcosa che
condivide? C’è sempre un momento nei suoi
film in cui i personaggi sono divisi tra il temere ed
il desiderare la solitudine.
Perchè?
Questo risale alla mia passione per i vecchi film dell’horror
in cui in realtà il mostro era quello che provava
le emozioni più forti. Il mostro non era cattivo,
ma era un incompreso che veniva trattato da cattivo.
E questo è una cosa che mi ha colpito e mi è
rimasto dentro. Inoltre gli esseri umani hanno la tendenza
a trattare le persone o le cose giudicando l’aspetto
esteriore senza nemmeno tentare di capirle.
Il finale del film sembra un omaggio
ad un regista italiano che lei ama molto, Federico Fellini.
Ma so che apprezza molto anche Mario Bava. Come concilia
le due cose?
Da ragazzino in tv mandavano i film di Fellini e quelli
di Mario Bava. Non allo stesso orario naturalmente.
Quelli d Bava andavano tardi la notte o alle tre del
mattino. Ma al sensazione che avevo è che entrambi
avessero un stile vero e particolare, che entrambi avessero
questa capacità poetica di esprimersi nella realizzazione
del film anche se con caratteristiche e stili completamente
diversi l’uno dall’altro ma particolarmente
distintivi…
Che cos’è l’elemento
fantastico presente in tutti i suoi film.
E’ come una vecchia favola, un modo per esplorare
i sentimenti umani attraverso il fantastico e la fantasia.
Ci sono grandi registi che riescono a fare questo in
maniera molto realistica. A me piace l’idea di
esplorare l’inconscio, il subconscio, esplorare
la natura umana attraverso questo elemento del fantastico
che è il tipo di cinema che ho sempre amato e
che continuo ad amare.
Dove è nata l’idea
di fare un film come La sposa cadavere?
Innanzitutto mi piacciono i personaggi dall’aspetto
molto strano. E’ una vecchia storia che ho sentito
raccontare e che ho trovato ricca e carica di emozione.
Sono cresciuto a Los Angeles dove la popolazione di
origine ispanica è molto presente e loro la Morte
la esplorano, la vivono e la vedono in maniera molto
più positiva. Mi sembrava interessante celebrare
in un certo senso la vita piuttosto che farlo in maniera
dark ed ho tratto ispirazione dal modo di celebrare
la giornata dei morti in Messico.
[dichiarazioni raccolte
da fabio melandri]