Perché
ha voluto fare un film su Maradona?
La prima ragione è che sono uno dei milioni di
tifosi in tutto il mondo che fece i salti di gioia quando
Maradona segnò i due goal contro l’Inghilterra,
nel 1986. Quella partita è un esempio di giustizia
nel mondo, per la prima e ultima volta. L’Argentina
e la Serbia sono due paesi che sono stati annientati
dal Fondo Monetario Internazionale, e che lottano contro
la sua politica, rappresentativa del potere occidentale.
Perciò mi sento vicino a Maradona. Inoltre Maradona
è molto popolare in Serbia, e la nostra squadra
di calcio assomiglia a quella degli argentini. Qualche
volta hanno detto che io sarei il Maradona del cinema.
La seconda ragione è che ogni volta che ho letto
dei libri su di lui, o articoli di giornale, o ascoltato
trasmissioni radiofoniche sulla sua vicenda, mi sono
reso conto che gli autori non sanno rendergli giustizia.
Lei
è più interessato al ribelle che non al
campione?
Sono due aspetti della stessa personalità. L’idea
ha preso forma all’epoca del Summit of the Americas,
a Mar del Plata, in Argentina, quando Maradona parlò
per criticare Bush. Fu un momento di grande impatto.
Ma certamente non bisogna dimenticare il magnifico campione.
Ricordo ancora quando sentii parlare di lui, nel 1979,
alla Coppa del Mondo Giovani, a Tokyo. Faceva cose incredibili.
Di recente è venuto a trovarci in Serbia, per
raccontarci del goal che ha segnato con il Barcelona
contro Belgrado Stella Rossa. Un momento di pura genialità.
In
“Black Cat, White Cat”, il personaggio di
Matko lo zingaro gioca a carte da solo, continua comunque
a barare, vince e grida: “Maradona!”. Perché?
La mia idea era di dare il senso della vittoria massima.
All’inizio l’attore gridava: “Goal!”.
Ma più forte di “Goal!”, c’è
“Maradona!”, perché un goal di Maradona
è al di sopra di tutto, non è un goal
qualsiasi.
In quale momento Lei ha
optato per un documentario al posto di un’opera
di fiction?
La mia decisione è stata dettata dalla necessità
di realizzare un ritratto di quest’uomo, un ritratto
che racconti la verità. Quello che critico rispetto
altri film su Maradona è che lo usano per raccontare
qualcos’altro. Non colgono l’impatto che
la sua presenza ha avuto in tutto il mondo. Maradona
è una storia vera, non c’è bisogno
di aggiungere finzione.
Lei pensa che Diego Maradona
sia un vero personaggio da film?
E’ un bravissimo attore. E’ nato per lo
spettacolo. Ma è anche più di questo.
Se Andy Warhol avesse vissuto nella nostra era, avrebbe
dipinto Diego invece di Marilyn. Se Maradona non fosse
stato un calciatore, avrebbe trovato un altro modo per
affermarsi e diventare una star, e ci sarebbe senza
dubbio riuscito. Maradona è un’icona, senza
dubbio la più grande icona degli ultimi venti
o trenta anni. E non si tratta di una popolarità
manipolata dai media, o dalla Coca Cola o dalla Pepsi,
come succede ai calciatori di oggi. Oggi non si può
più neanche andare in un bagno pubblico senza
vedere una pubblicità della Coca o della Pepsi.
Si, ma anche Maradona
ha girato pubblicità per la Pepsi e per la Coca...
Forse, ma in modo meno visibile. Ciò che voglio
dire è che Maradona è diventato un’icona,
grazie al suo gioco e ai suoi goal. Non per quello che
faceva fuori dal campo. Certamente aveva i suoi sponsor,
faceva le pubblicità, ma questo è arrivato
dopo. Per un calciatore come Beckham – che è
un bravo giocatore – è il contrario: è
ciò che fa al di fuori del campo a renderlo così
famoso. Il suo gioco è meno importante.
Come è entrato
in contatto con Diego?
Attraverso la produzione. All’inizio non era molto
ben disposto. Penso sia un po’ stufo dei media
e delle loro richieste. A volte gli piace stare tranquillo.
Ma c’è anche un altro lato della sua personalità
che è attratto inesorabilmente al mondo dello
spettacolo, quindi alla fine ha accettato.
Conosceva
i Suoi film?
Nessuno, no. Ma credo che avesse sentito parlare di
me.
E’
stato facile girare con lui?
Un po’ complicato, a dir la verità. Qualche
volta dimentica i suoi doveri e le sue responsabilità.
Una volta siamo andati in Argentina, e lui se ne era
dimenticato, e non lo abbiamo trovato. E’ il motivo
per cui ho impiegato tanto a realizzare questo film,
ci sono voluti diversi anni. Con Diego, una volta è
sì e l’altra è no.
Dopo averlo incontrato,
ha scoperto qualcosa che l’ha sorpresa?
Intuivo che fosse intelligente, e ora ne sono certo.
Parlando con lui – ancora ci sentiamo regolarmente
– ho scoperto che è molto più maturo
di quanto la gente non creda. Specialmente per quanto
riguarda la politica. Ha sostenuto la candidatura di
Christina Kirchner alle elezioni argentine, non perché
ama il potere ma perché pensa che il precedente
governo abbia fatto bene a cacciare il Fondo Monetario
Internazionale. Pensa che il paese stia migliorando
e che debba continuare così. Ha una forte consapevolezza
politica e sa come analizzare le cose.
Qual
è il suo lato oscuro?
Maradona ha una personalità davvero scissa. Questo
è vero per tutti noi, ma nel suo caso questa
scissione è più intensa. Può essere
grande sia nel positivo che nel negativo. Abbiamo parlato
prima delle sue pubblicità per la Pepsi e per
la Coca, o del suo impegno politico. Diego non ha problemi
a criticare gli Stati Uniti e a prendere i soldi della
Coca Cola il giorno dopo. O a barare sul campo. Alla
fine torniamo sempre a quella famosa partita con l’Inghilterra.
Un goal angelico, un goal diabolico. Queste sono i due
lati del suo genio. Maradona è una specie di
santo. Ha visto la morte in faccia diverse volte, una
volta si è quasi ucciso, ma la verità
è che penso che Dio non abbia voluto prenderlo
accanto a sé.
Le è sembrato felice?
Dipende dai periodi. Un giorno lo abbiamo portato a
Villa Fiorito, fra le baracche dove è nato, e
abbiamo filmato la casa della sua infanzia. Era felicissimo.
In altri momenti è stato più difficile.
Maradona mi fa pensare a Marlon Brando, o ad altri grandi
attori del cinema. Fuori dalla pubblica arena, non sanno
come vivere. Per Diego, la sua vita ideale sarebbe stata
un gioco in cui l’arbitro non fischia mai la fine
della partita.
Come
interpreta il fatto che il Marlon Brando dei nostri
tempi sia un calciatore?
E’ normalissimo. Maradona è diventato ciò
che è diventato anche perché giocava a
calcio e non a un qualsiasi altro sport e poi perché
giocava negli anni ’80, il decennio in cui lo
sport è diventato molto popolare, soprattutto
in televisione. L’era di Maradona è stato
l’apice dell’individuo nel football. Maradona,
con la sua dribblante presenza telegenica, il potere
di cambiare da solo il destino di una partita, era perfetto
per questa epoca. Inoltre questo periodo è finito
precisamente con il secondo goal di Maradona contro
l’Inghilterra. Da allora, nel calcio come nella
società, le cose sono molto cambiate.