Sulla critica cinematografica e sul cinema del presente

[a cura di Alessandro Antonelli, effettuata durante il Bellaria Film Festival 2005]


Morando Morandini, giornalista e critico cinematografico, è stato inviato de "La Notte", "IL Giorno", "Stasera". Oltre a "Sessapiglio" sul teatro di rivista, ha pubblicato monografie anche sulla nouvelle vague, B.Bertolucci, S.M. Eisenstein, M. Ferrari, J.Houston; Storia del cinema (1998) con Goffredo Fofi e G. Volpi, "Non sono che un critico" (1995).
Ormai famoso il suo Il Morandini - Dizionario dei Film, in uscita aggiornata tutti gli anni.

Una delle ultime polemiche, “scatenata” da Paolo Mereghetti è quella che accusa molte riviste di cinema di avere contenuti e recensioni narcisistiche e autoreferenziali, la critica come mezzo di stile personale quindi. Cosa ne pensa?
Diciamo subito che esistono critici cinematografici di mensili, settimanali o quotidiani. Per ognuno le cose cambiano. Mi rifiuto di parlare di critica come unica entità. Penso che Mereghetti abbia comunque ragione, a volte io stesso devo rileggere alcuni articoli 2-3 volte per comprenderne i passaggi…
Un critico è un po’ come un regista ed ha almeno due doveri da rispettare: uno è quello di comunicare, arrivare agli spettatori-lettori. Il secondo è quello di esprimersi, ovvero di mettere in tavola la propria soggettività, aiutando in questo a capire il proprio punto di vista. Segno Cinema, Film Critica, Duellanti e Cineforum sono le riviste più “complesse” e approfondite, e spesso rischiano l’imputazione di “esercizio di stile” perché molti dei loro recensori o critici, perlopiù giovani, adottano un modo di scrittura criptico ed evanescente. Forse essere semplici ma non semplicisti, in molti casi, è la soluzione migliore. Direi che soventemente tutto ciò scaturisce poca informazione intesa come nozioni strutturali, quindi scarsa comunicazione.

Molti critici di oggi, soprattutto giovani, non rispettano l’etica della comunicazione quindi?
Un critico deve bilanciare bene, non essere né un contenutista né un formalista, cercando l’obiettività anche dove esistano risvolti politici, apprezzando indifferentemente film di destra o di sinistra se meritano elogi. Un critico ha tuttavia almeno una volta l’anno, se vuole, il diritto di stroncare un film, con una vera e propria dichiarazione d’odio “col cuore in mano” (ride), sfogo che deve avere una sua giustificazione ovvio. Io l’ho fatto l’ultima volta con The Passion di Mel Gibson, il film più antireligioso che abbia mai visto. Ho scritto proprio un decalogo per apprendisti critici (Non sono che un critico – Pratiche edizioni n.d.r.) e questo è uno dei punti da me citati.

Più della metà dei film prodotti negli ultimi anni sono tratti da libri, romanzi o letteratura varia. Non crede che il cinema dovrebbe riniziare a scrivere per se stesso, trovando originalità e non mimando idee altrove?
Si dovrebbe vedere, decennio dopo decennio, fare una ricerca approfondita, e vedere ad esempio di quanto sono aumentate le fonti teatrali o letterarie. Dal 1990 ad oggi ad esempio sono notevolmente aumentate, e me ne rendo conto scrivendo e redigendo il Morandini infatti, il dizionario dei film e riportandole nell’indice.
Gli anni ‘20 e gli anni ‘60 sono a mio avviso gli anni più creativi della storia del cinema, infatti, tra l’altro, il numero delle opere presenti erano statisticamente inferiori a quello degli altri periodi intercorsi. Un altro esempio lo abbiamo sotto gli occhi qui al Bellaria Film Festival 2005, dove il livello medio qualitativo dei documentari è nettamente superiore a tutti gli altri di fiction varia. Il dato di fatto dal quale tutto ciò scaturisce è la difficoltà di oggi di raccontare storie sul presente, sulla nostra situazione generazionale. Lo stesso Bernardo Bertolucci, che è tra l’altro mio amico, trova difficoltà a raccontare il nostro presente, a guardare in casa: The Dreamers è sui moti del ’68 a Parigi, L’assedio parla di un pianista straniero e di una ragazza di colore, Io ballo da sola vede le vicende sentimentali di un gruppo di stranieri statunitensi in Toscana. Prende fuori dunque tutti gli spunti creativi. Prendere poi spunto dalle fonti letterarie ci trasporta in un “passato prossimo”, in un qualcosa che è già stato scritto, quindi passato, vissuto, poco presente a tutti gli effetti. Nonostante ripresi anch’essi da romanzi (recenti n.d.r.) apprezzo i nuovi lavori di Marco Tullio Giordana (Quando sei nato non puoi più nasconderti) e Gabriele Salvatores (Quo vadis, baby?), che in modi differenti trattano spaccati di presente ed eventi temporalmente a noi vicini.