Tra sperimentalismo e politica

[fabio melandri]

Gabriele Salvatores


H
ai posto una grande attenzione sulla colonna sonora, non solo sulle musiche con la doppia versione di 'Impressioni di settembre' della PFM, ma anche sulla traccia sonora che è tipicamente noir, quasi hitchcockiana in alcuni punti.
Nei miei film la musica ha sempre un aspetto importante. Non deve essere una sorta di cameriere che serve l’immagine, che imbandisce il film, ma uno sguardo autonomo sul film. Da Io non ho paura sto lavorando in questa direzione, uno sguardo a volte partecipe a volte più distante sul film. Il tentativo di lavorare in una dimensione non minimalista ma contenuta; la colonna sonora è stata eseguita dai quattro sassofonisti di Philip Glass, un pianoforte, una chitarra elettrica ed un contrabbasso. Un ensamble contenuto che cerca di entrare nelle
pieghe della storia.

Così come fondamentali sono gli effetti sonori di cui l’Italia detiene una grande tradizione ed un amestro per tutti come Sergio Leone.

Questo è un film anomalo nella tua filmografia in quanto vede due personaggi femminili assolute protagoniste. Perché questa scelta?
Tutto parte da una donna, Grazia Verasani che ha scritto il romanzo e che ha inventato questo personaggio di Giorgia, detective che ficca il naso nella vita degli altri. E’ un personaggio post punk, perché se non ci fosse stato il movimento punk e tutto quello che è venuto dopo, probabilmente Giorgia non sarebbe come è, una donna politicamente molto scorretta: single, 40 anni, senza figli, sceglie i suoi partner, fuma molto, beve... insomma non è l’immagine tradizionale della donna.
Per quanto mi concerne, mi sono imbattuto nel primo personaggio femminile che conosco diretamente, in quanto quel tipo di donna è stata la compagna della mia vita. Anche l’altro personaggio femminile, quello di Ada, conoscevo, non perché ci ho convissuto ma per motivi di lavoro;è l’attrice di 23/24 anni che lascia casa, va a Roma in cerca di quel cinema puro che lei sente dentro di se ma si accorgerà presto che sarà difficile difendere quell’idea.

Nel film lei pone lo spettatore nel medesimo punto di vista del detective, scoprendo insieme a lei il mistero che circonda la vicenda. Ma se questo è l'assunto di ogni giallo che si risptti, cosa l'ha incuriosita in questo modus operandi?
Avevo voglia di affrontare una struttura del genere, applicare un'idea che è insita nel romanzo 'Cromosoma Calcutta'. Qui c’è una teoria per cui se vuoi far conoscere a qualcuno una storia non devi raccontargliela, ma fargliela scoprire.
Il pubblico è abituato ad una posizione di passività nei confronti dell’immagine, una situazione che la televisione coltiva con forza. Quello che ho tentato di fare è costruire una storia che chiedesse al pubblico un impegno, tanto che l’ultimo tassello del puzzle nel finale è affidato completamente al pubblico; nessun personaggio del film lo vede. E’ una dichiarazione di fiducia e se mi permettete d’amore nei suoi confronti.

Come valuti oggi le critiche di cantore della leggerezza e della fuga nei confronti dei tuoi primi film, a dispetto delle tematiche più adulte di oggi?
Ritengo che le critiche sono importanti se costruttive e che magari ti portano anche a fare film diversi rispetto ai precedenti. Credo che il tempo passi per tutti e che la fuga di cui si parlava nei miei primi film non fosse evasione, ma rifiuto, come per punk di cui parlavo prima che dicevano 'non contate su di me'.
Oggi ho voglia di fare e sperimentare cose nuove rispetto al passato, ma i personaggi dei miei primi film, partivano per cercare un qualcosa che poi non trovavano, come la linea dell’orizzonte di Hugo Pratt in Corto Maltese, sempre sullo sfondo ma irraggiungibile.

Si intuisce un grande lavoro sui personaggi.
Un’altra peculiarità di questo film è che a parte Gigio Alberti, sono tutti attori nuovi per me. Quando suoni, che sia rock o jazz c’è qualcuno che scrive una musica. Però quando poi chiami i musicisti l’apporto di ogni singolo musicista, nel jazz soprattutto, è fondamentale. Miles Davis non ha bisogno di un sax ha bisogno di un Coltraine perché Coltraine possa cambiare la musica che Davis ha scritto. E’ quello che io avevo bisogno; qualcuno che cambiasse la storia scritta da Fabio (Scaloni, co-sceneggiatore) e da me, qualcuno che portasse qualcosa di biografico. Avevo bisogno di attori che facessero questo tipo di lavoro e li ho scelti per questo. Si può fare cinema senza molte cose. Due solo sono indispensabili: la macchina da presa e gli attori.

Lei è uno dei pochi registi italiani a non aver problemi ad esplorare i generi.
Ci sono sicuramente registi in grado di affrontare i generi. Il problema è che i generi non vengono spesso considerati come cinema di seria A ed anche a livello produttivo non vengono considerati fattibili. Io considero ogni film una lezione per imparare e crescere e questo spostare il mio punto di vista attraverso i generi mi aiuta molto.

Nel tuo film manca un riferimento diretto alla realtà. A cosa è dovuto?
Io credo che ci siano due modi di fare politica e cambiare le cose. Io faccio cinema e cerco di far politica all’interno del mio lavoro. Scegliere Angela Baraldi, che è bravissima, ma non è un’attrice nota è un atto politico. Provo a fare politica attraverso gli strumenti del cinema. I miei personaggi non sono allineati a quelli della televisione. A tal proposito, sapete che i toni scuri di qiuesto film creeranno probelmi per la messa in onda televisiva? Ma io faccio film per il cinema. Godard diceva che la televisione è parte del cinema ma che il rischio che si corre è che il cinema divenga parte della televisione. Questa è una battaglia politica.

Nel film è molto presente la tematica, il dualismo soggettivo/oggettico. Come lo ha affrontato?
Grande è il problema a riguardo di cosa è oggettivo e cosa è soggettivo. Con la comunicazione affidata alle immagini che abbiamo, puoi far sembrare vero una cosa assolutamente falsa. Il discorso del soggettivo/oggettivo è in realtà una riflessione sul cinema. Sin dove devi montare? Dove lasciare allo spettatore la possibilità di intervenire? In questo film ci sono le mie prime scene di sesso e mi sono posto il problema di come rappresentarle. Mi sono detto: una scena d’amore non può essere affidato al montaggio, per me il sesso è un piano sequenza, un'unica inquadratura che sale o scende a seconda delle necessità narrative, ma è una sola inquadratura. La scena della verità è invece raccontata in tre modi diversi, frammentata da un moltiplicarsi dei punti di vista, uno per ognuno degli attori prsenti in quella scena, ottenuta attraverso una piccola videocamera posta sulla testa degli attori che sceglievano cosa far vedere al pubblico e cosa no.

Filmografia
1983 - Sogno di una notte di mezza estate
1987 - Kamikazen - Ultima note a MIlano
1989 - Turnè

1989 - Marrakech Express
1991 - Mediterraneo

1992 - Puerto Escondido
1993 - Sud
1996 - Nirvana

2000 -
Denti
2001 - Amnesia
2002 - Io non ho paura
2005 - Quo vadis, baby?