Viaggio
dietro le quinte di Lost con Damon Lindelof
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[fabio
melandri] |
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La
prima serie è passata sul canale satellitare
Fox dove ha creato lo zoccolo duro della sua
colonia di appassionati in Italia. In seguito
è approdata sugli schermi free di Raidue
raggiungendo share di oltre il 20% con quattro
milioni di fans accaniti.
La seconda serie approderà in Italia
solo a settembre in pay-tv ed a febbraio-marzo
su mamma Rai, ma è stata già scaricatissima
dalla rete. Le riprese della terza serie inizieranno
il 7 agosto mentre della quarta ed ultima –
secondo le intenzioni dei suoi autori –
serie si sono già tracciate le linee
guida. In occasione della presentazione del
secondo cofanetto della prima serie in uscita
a fine giugno, Damon Lindelof, co-autore e sceneggiatore
di Lost ha tenuto una lezione di cinema a Roma
(Casa del Cinema) coordinata dal critico cinematografico
Marco Spagnoli.
Come
è nato Lost?
L’idea è venuta al presidente della
ABC, canale televisivo a cui da diversi anni
mancava un successo commerciale, guardando il
film Cast Away con Tom Hanks. Il film poteva
essere un buono spunto per una serie. Insieme
al produttore Aaron Spelling ha sviluppato un
copione con un incidente aereo ed un certo numero
di superstiti. Lo hanno proposto poi a J.J.
Abrahms che già collaborava con Spelling
per Alias. Ma J.J. non era convinto. Il progetto
mi fu successivamente proposto, ma all’inizio
ero molto reticente. Poi ho iniziato a sviluppare
un’idea: diversi sopravvissuti, un’isola
misteriosa, metà dello show a raccontare
le vite precedenti sei sopravvissuti e metà
a descrivere la vita nell’isola. Ne ho
parlato con J.J., con cui da tempo desideravo
collaborare, è l’idea dei flashback
gli piacque molto. Ogni settimana avremmo approfondito
un personaggio.
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Cosa ti appassionava quando studiavi sceneggiatura alla
New York University?
La fine degli Anni Settanta erano gli anni di Guerre Stellari,
Lo squalo, Indiana Jones, mentre in televisione vedevo
L’incredible Hulk e Miami Vice. Erano anni in cui
il cinema indipendente iniziava ad affacciarsi negli States
con i film di Fellini e Tati, oltre a quelli di Scorsese
e Spike Lee, ex studenti della NYU. Inoltre mi piace molto
Orson Welles, per l’amore che nutre verso i suoi
personaggi e la capacità di mescolare realtà
e finzione. Quello che mi stimola di più in Lost
è la possibilità di sviluppare i diversi
personaggi puntata dopo puntata.
Lost
è un serial di difficile classificazione all’interno
di generi riconoscibili.
L’idea del genere come lo consociamo noi, è
uno strumento di aiuto per il pubblico. Lost è
fuori questi schemi. In Lost c’è molta confusione
tra passato e presente, ci vuole molta pazienza e fede
per capire ogni cosa. In C.S.I sappiamo che all’inizio
c’è un cadavere ed alla fine un colpevole.
Lost è una storia serializzata, dove se perdi una
puntata diventa un problema, e che non lascia soddisfazione
allo spettatore se non alla fine della serie e non sempre…
Il pubblico di oggi è molto intelligente ma ha
poco tempo da dedicarci. Per questo nell’ora a settimana
che ci dedica, dobbiamo dargli qualcosa di veramente eccezionale
per captare la sua attenzione. Lost ha la capacità
di rinverdire la tradizione del racconto orale, della
narrazione di storie davanti al caminetto, creando una
comunità che dopo aver visto un episodio ne discute
con amici e parenti durante la pausa caffè.
Si
caratterizza per un’alta qualità della sceneggiatura
e per l’equilibrio degli elementi drammaturgici.
Quello che più emoziona è il fatto che ogni
settimana lo show è diverso a seconda del personaggio
su cui ci si concentra. Inoltre non amiamo i lunghi monologhi.
Puntiamo molto sui dialoghi. Tutti i personaggi dialogano
con qualcuno a gruppi di due/tre alla volta. Cerco inoltre
di non affezionarmi mai troppo alle mie idee, ma cerco
di capire cosa piacerebbe vedere in un determinato momento
al pubblico. Ci sono elementi che richiamano il cinema
di Spielberg e Lucas, con momenti di alleggerimento durante
scene drammatiche e via discorrendo. Quando scriviamo
siamo ben consci che dobbiamo evitare che lo spettatore
cambi canale durante le numerose interruzioni pubblicitarie
che abbiamo in trasmissione. Ogni puntata ha quindi un
inizio determinato, uno sviluppo drammatico ed un finale
pieno di suspence. |
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Jack |
Kate |
Locke |
Claire |
Charlie |
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Avete
un’idea di quanto debba durare Lost?
In originale lo show dovrebbe durare 4 anni, per 88 episodi,
come i tasti presenti sul pianoforte. Penso che sia la
sua durata naturale, anche se ho dubbi su una sua conclusione
nei tempi previsti.
Qual
è la sottile linea che separa successo da sfruttamento,
lo show dal business?
Noi siamo stati molto fortunati nell’avere la possibilità
di scrivere uno show-show con la massima libertà
creativa. Solo in un caso intervenne il network. Nell’episodio
pilota infatti, il personaggio di Jack sarebbe dovuto
morire a metà, ucciso dalla misteriosa creatura
che si aggira sull’Isola. Morto Jack, Kate sarebbe
dovuta diventare la leader dei sopravvissuti. Con l’opposizione
del network, abbiamo riscritto l’intero episodio,
salvando la vita a Jack – ruolo poi assegnato alla
star tv Matthew Fox – e riscrivendo il personaggio
di Kate che a questo punto abbiamo deciso di rendere più
misteriosa ed interessante trasformandola in una fuggiasca.
In
questi giorni al cinema si parla molto di aerei (vedi
United 93). Dopo l’11 settembre è diventato
un argomento ad alto tasso emotivo.
Sceneggiatori, attori, registi sono influenzati da quanto
accade intorno a noi, dall’11 settembre sino all’Iraq.
Quando iniziammo a scrivere l’episodio pilota, si
vociferava di un imminente attacco americano all’Iraq,
quindi ci sembrava interessante avere un irakeno protagonista
nella serie. La stessa idea di iniziare la serie con un
incidente aereo è ben diversa da quella di un attacco
terroristico con aerei fatti precipitare contro obiettivi
civili. La paura è un elemento fondamentale in
Lost: vivere insieme o morire da soli. Ogni personaggio
nello show ha paura di qualcosa mentre Jack rappresenta
la speranza anche se non ci crede realmente. Lost non
è uno show su un incidente aereo ma sulla sopravvivenza,
sulla speranza. E’ difficile avere speranza al giorno
d’oggi, ma è necessaria. L’America
ha bisogno di speranza. Ma Lost parla anche di colpa.
Tutti i personaggi hanno qualcosa di cui sentirsi in colpa
ed è per questo che molti credono che sono tutti
morti e che l’isola è una specie di Purgatorio.
Ma non credo sia questa la più giusta chiave interpretativa
della serie.
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Sayid |
Shannon |
Hurley |
Sun |
Jin |
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La seconda serie
in cosa cambia rispetto la prima?
La seconda serie è nello stesso tempo uguale ma
diversa. Uguale perché ci concentriamo su un personaggio
ogni settimana e faremo uso di flashback per raccontare
la sua storia. Diversa perché mentre la prima serie
serviva a spiegare, questa ci permette di andare avanti,
introducendo nuovi personaggi ed iniziando ad esplorare
più in profondità l’isola. Inoltre
avrà molte più scene in interno, in quanto
molto accadrà all’interno della botola davanti
la quale avevamo lasciato i nostri personaggi.
Ha
già in mente come far terminare la serie?
Abbiamo un’idea di come tutto finirà, ma
non sappiamo ancora quali percorsi ci porteranno alla
metà. Sappiamo che da Roma dobbiamo arrivare a
Firenze, ma non abbiamo idea quale strada percorreremo.
La storia è come un bambino. Da genitore lo vorresti
in un certo modo piuttosto che in un altro, ma non sai
come il bambino reagirà ai tuoi input.
Si
vocifera di importanti impegni cinematografici nel suo
futuro.
Certe storie e personaggi diventano con il tempo dei miti.
In Lost vi è una parola che ricorre spesso: mitologia.
Roma è una città piena di storia e mitologia.
Star Trek è una serie che è diventata un
fenomeno sociale, un mito perché oltre a raccontare
storie di mondi lontani riusciva a parlare di altro, a
parlare della contemporaneità. Ritengo che riprendendo
Star Trek dal punto di vista dei suoi personaggi, abbia
ancora molta carne al fuoco da indagare. E’ un progetto
su cui stiamo lavorando in fase preliminare, ma che porteremo
avanti prendendoci tutto il tempo di cui avremo bisogno.
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