Vi racconto l'Italia di oggi...

[fabio melandri]

Marco Tullio Giordana


Era la presa di coscienza di un privilegiato, la cosa che più la interessava raccontare nel film?
Ho raccontato il viaggio di un ragazzo, Sandro, durante il quale tutte le sue relazioni con il mondo saltano; non sa più chi tiene a lui e chi no. Le persone che lo salvano prima sono minacciosi ed ostili, poi condividono cibo e coperte con lui. Gli stessi scafisti sono fatti del medesimo materiale umano degli i
mmigrati che trasportano. Il bambino è diventato come uno di questi emigranti, il suo punto di vista è completamente ribaltato.

Viene da una realtà Brescia, che già da tanti anni ha affrontato il fenomeno dell’integrazione degli stranieri, dalle fabbriche alla scuola. Non è un mondo a lui sconosciuto, ma non sono considerate persone piuttosto estensione dei macchinari della fabbrica del padre, presenza anche simpatiche ma con cui non è mai entrato in vera relazione, cosa che succede invece sul barcone, ove lo fanno rinascere, gli donano una nuova vita.

Una cosa che più colpisce è il finale, lasciato aperto...
Il finale che vedete sullo schermo non era l’originale previsto dalla sceneggiatura. Il film chiudeva in modo più drammatico. Una volta trovata Alina e scoperto che Radu il fratello/amante l’aveva avviata alla prostituzione, Sandro ha una colluttazione con Radu al termine dela quale Alina trovata una pistola, uccide il fratello. Questo finale non ci aveva mai completamente soddisfatto anche se chiudeva il film dal punto di vista drammaturgico in maniera impeccabile, troppo. Aveva un che di dimostrativo, quasi teologico nella morte violenta di Radu che quando mi sono trovato a girare quella scena, ho sentito che non potevo chiudere così questo film. Non tanto per il finale triste, quanto perché avrebbe reso questa storia così estrema, fuori dalle righe da non poter essere più paradigma di niente. Non sarebbe più stato un film sui nostri rapporti con questo mondo, ma un film noir...
Quello che avete visto è molto più semplice, perché non succede praticamente niente; quello che accade è tutto interno ai due personaggi, nel dolore in cui Sandro si rende conto, capisce non nel dettaglio, il destino della ragazza nel non voler rispondere alle sue domande, domande troppo feroci con risposte ancor più dolorose. Entrambi rimangono soprafatti dal terribile destino che questo mondo riserva ad Alina ed a questo punto anche a Sandro, che reagisce come un bambino deve fare, ovvero piangendo.

Questo è film che avrebbe potuto raccontare molte cose. Quanto hai dovuto rinunciare per concentrarti invece sulla storia del ragazzino?
Ho da subito deciso di sposare il punto di vista di Sandro e raccontare le cose dal suo grado di consapevolezza, senza pregiudizi e con quel tocco di innocenza tipico dei ragazzini.
Non mi è sembrato di aver dovuto rinunciare a niente. Noi abbiamo la percezione di tutti questi elementi che sono lo sfondo di una città, questi disperati che prima che stranieri sono poveri, che sperano di arrivare qui e trovare un lavoro come lo sperano i poveri italiani, i due scafisti per esempio. Tutto e raccontato attraverso gli occhi di Sandro e ritengo che non necessita di altra spiegazione, perché la spiegazione è in conflitto con il cinema che racconta e non spiega. I film che spiegano sono pretenziosi e sbagliati.

Il finale previsto nella sceneggiatura era previsto già nel libro?
Risponde la scrittrice Maria Pace Ottieri: Il libro non è un romanzo ma un reportage narrativo che segue il viaggio di un gruppo di clandestini da Lampedusa a Gorizia. Marco lo ha letto ed oltre a cogliere il titolo (nome africano di uno dei clandestini che ho intervistato nel libro) ha captato delle idee, delle suggestioni che il libro ha in se. Dietro ai dati che ogni giorno le televisioni ci raccontano ci sono tante storie, un materiale narrativo inesauribile. I loro viaggio sono epici ed antichi. Ognuno di loro ha un unico bene da portare con se, la propria biografia, la propria storia che al contempo ne contiene molte altre, avendo avuto queste persone esperienza di vita assai maggiori di quanto non ne possiamo avere avute noi.

Giordana, perché Brescia?
Brescia è una città in cui il fenomeno dell’immigrazione si è proposto prima che in altre città d’Italia e dove, sebbene non risolto completamente, avendo bisogno della manodopera di questa gente, si è posto il problema di come risolverlo.
E’ forse la città più multi-etnica d’Italia e la presenza degli stranieri non dà quella sensazione abusiva, irritante che c’è negli abitanti autoctoni di altre città come Milano, Torino, Padova ed anche Roma, abituate ad averli più come clandestini che non come integrati.

Immagino lei si sia posto il problema di affrontare un tema che può facilmente scivolare nella retorica. Ha sentito questo rischio? Come lo ha risolto?
La dimensione del retore io la respingo con forza. L’antidoto risiede nella secchezza tagliente dello sguardo. Io aborrisco la retorica ed al cinema è imperdonabile in quanto lo rende molto fasullo. E' un modo di nascondere non un modo di raccontare. Il cinema usando la realtà per raccontarla, vi si attacca con forza riuscendo in genere ad evitarla. Il problema non era quello di essere retorico, che non rientra nella mia natura, ma di essere esatto nella ricognizione di questo mondo. Il libro è stato un qualcosa di più di uno spunto, in quanto contiene quello sguardo di cui dicevo prima e che ho prestato a Sandro; lo sguardo di uno scrittore che cerca di capire cosa c’è dietro ad un fenomeno.
Uno sguardo che tenta di capire anche le persone che sono coinvolte nel fenomeno non solo gli immigrati ma anche quelli che poi li accolgono, forze dell’ordine comprese. La legge dice che bisogna rimandarli indietro, ma non è il comportamento della Guardia Costiera. La legge del mare dice che se qualcuno è in difficoltà devi aiutarlo, il chè cozza contro la legge di terra. Il nostro paese, pur con tutti i difetti terribili che si porta dietro, è psicologicamente meglio attrezzati di altri a capire quanto meno, avendo avuto in passato una grande tradizione di emigrati.

Le due figure dei trafficanti di clandestini, sembrano uscite dall’Isola del tesoro di Stevenson, ed il film in alcuni passaggi sembra un romanzo di formazione...
Sandro Petraglia: E' una tentazione che abbiamo presto abbandonato. Le due figure degli scafisti, sono molto simili a quelli che trasportano più che due veri e propri banditi del mare. Il film ha molto di romanzesco al suo interno, dalla caduta in acqua, al salvataggio, al ritorno in Italia.
Marco Tullio Giordana: sono contento che in filigrana si sia vista l’Isola del tesoro come anche Capitani coraggiosi. L’atteggiamento del bambino e l’innamoramento per certi personaggi proviene da questi testi. Io più che drammatico, definirei il mio film drammatico-avventuroso come quei film in Technicolor che vedevo negli Anni Cinquanta.

Il messaggio che lei lancia è chiaro. Ha mai temuto, o teme che questo non arrivi allo spettatore o che venga interpretato in modo diverso? Ci sono elementi che potrebbero spingere a interpretazioni contro gli immigrati.
Ogni film si presta all’interpretazione dello spettatore. Più è complessa e ricca più il film è riuscito. Non temo che qualcuno formalizzi la sua paura contro gli stranieri, i clandestini, perché è una verità e sarebbe ipocrita non ammetterlo. Il film lo fa. Ma questo pericolo non deve precludere la strada a chi viene in Italia in cerca di fortuna e non per delinquere.

In poche battute lei prende posizione nei confronti dei centri di accoglienza.
Innanzitutto oggi si chiamano centri di permanenza temporanea e sono delle istituzioni terribili, delle prigioni. Detto questo e che non si sa dove mettere questa gente e che qualcuno deve pur occuparsene, ci sono centri che funzionano, centri che funzionano male, malino, benino... bene è difficile perché sarebbe come dire che funziona bene un prigione un luogo che concentra e isola, congela il dolore e basta. Chi lavora li sta male quanto chi vi è dentro, quindi non mi permetto di giudicare il grado di efficienza. Ho però visto che spesso la gente che sta lì, soffre e condivide. Sono anche affari, in quanto lo Stato paga fior di rette per queste strutture che asportano dalla società un problema, lo concentrano in un posto, ce ne liberano. Ma sono posti comunque terribili.

Come si pone questo film all’interno della sua filmografia?
E’ un film che giunge dopo tre opere (Pasolini, I cento passi, La meglio gioventù) che erano in gran parte ambientati negli anni Settanta, decennio che sentivo di dover raccontare in quanto importante per capire l’Italia di oggi.
Dopo mi sono detto che forse bisognava parlare dell’Italia di oggi, che è molto interessante. A me piace raccontare storie di personaggi, non problemi, non sono un sociologo. Mi sono domandato chi fossero queste persone che io frequento, di cui sono amico ma che al cinema non si vedono quasi mai. Sono raccontati dalla televisione con grandi semplificazioni, mentre bisognerebbe tornare alla realtà raccontando chi sono, cosa fanno, cosa pensano. Io sono di quelle parti, sono rimasto legato a quegli ambienti, che non amo in toto ma neanche ripudio. Per raccontare la realtà bisogna un po’ anche amarla.

Unico film italiano in concorso a Cannes...
E’ una grande opportunità per qualsiasi film avere una vetrina internazionale di rilievo. Sono felice di essere stato selezionato per il concorso. Vi sono avversari assai temibili, quindi non aspettatevi niente, come me, in modo che questa spedizione sia completamente felice. Essere li è un grande successo; a Cannes vi è una grande tensione verso le cinematografie di tutto il mondo, dalle grandi cinematografie dominanti, compresa quella americana, sino alle minoritarie, per valutare lo stato non della salute del cinema, ma lo stato dei film.


Filmografia
1980 - Maledetti vi amerò
1981 - La caduta degli angeli ribelli
1988 - Appuntamento a Liverpool

1991 - La domenica specialmente (
film a episodi)
1995 - Pasolini - Un delitto italiano

2000 - I cento passi
2003 - La meglio gioventù
2005 - Quando sei nato non puoi più nasconderti