Sul piano
visivo il film è sicuramente più elaborato dei
precedenti. L’uso della tecnologia è finalizzato
ad una reinterpretazione della realtà anche a fini
spettacolari – il cinema deve essere anche spettacolo
– mentre è compito della televisione trattare
la realtà in maniera più documentaria.
Una
delle accuse più frequenti al cinema italiano è
quella della mancanza di bravi attori. Cosa ne pensa?
(Alessandro D’Altri) Non
ho mai fatto nella mia carriera dei cast furbi. Credo che
sia una cosa ignobile. Iin Italia ci sono veri talenti, buoni
attori. Manca spesso il coraggio di utilizzarli in un contesto
industriale. Per quanto mi riguarda, in questo film ci sono
degli esordi straordinari come Massimo Bagliani, 47 anni un
attore dal curriculum teatrale di tutto rispetto al suo primo
film, Vittorio Franceschi, drammaturgo ed attore, chi va a
teatro lo conosce benissimo ma è al suo terzo film
ed ha superato i 60 anni, Gisella (Burinato) che ha un curriculum
favoloso ha fatto pochi film anche lei. Si parla spesso dei
giovani attori, ma ci sono anche attori maturi che non vengono
utilizzati nel cinema. Quelli come Vittorio Franceschi in
america diventano come Joe Pesci, qui da noi fanno tre film
in sessant’anni. Questo è il problema, mancanza
di coraggio. I talenti ci sono, bisogna saperli sceglierli,
utilizzarli e farsi carico anche dei rischi che comportano.
Tematiche
come questa di una società che ti impedisce di realizzare
i sogni, che ti rende frustrato e così via ne abbiamo
già visti diversi al grido “la società
è così, cambiamola.” Lei nel suo film
afferma “la vita è così, cambiamola”.
Vi è una differenza importante di prospettiva.
(Alessandro D’Altri)
E’ impossibile non fare cinema politico, perché
tutto quello che si fa come espressione è in un qualche
modo un atto politico. Il problema vero è che oggi
la politica non si occupa più dei fatti veri della
gente. Si parla dei massimi sistemi e non delle cose concrete
tipo l’asilo nido, il traffico, il lavoro. Abbiamo vissuto
negli ultimi tempi ad una cosa meravigliosa: il crollo delle
ideologie. Un vero miracolo che bisogna capire, comprendere
ed in un certo senso anche cavalcare. Le ideologie sono innaturali.
E’ finita l’era dei maestri, inizia quella dei
testimoni (citazione dall’enciclica Popolorum Progressio
di Paolo VI [NdR]). Credo che tutti siano oggi chiamati ad
essere testimoni ed a riconoscere testimonianza. Oggi fare
cinema significa tornare ad essere cittadini, sporcarsi le
mani con la realtà e prendersi il disturbo di vivere.
Noi siamo un paese dalla tradizione straordinaria in tutte
le arti, in tutte le opere dell’ingegno, siamo studiati
in tutto il mondo, i grandi marchi italiani, il cinema stesso.
Eppure abbiamo paura di rivendicare le nostre capacità.
Oggi per esempio non ascoltiamo più i poeti. Sono persone
queste che non fanno spreco di parola. La poesia è
bella perché è muscolare, tonica. Un aggettivo
è un aggettivo, una virgola è una virgola, dà
dei concetti precisi. Se ascoltassimo di più i poeti
la società sarebbe migliore. Nel film ho tentato di
parlare di impegno, di poesia, all’interno di un film
che deve essere anche entertainment. Ed ecco l’uso delle
tecnologie. Gli effetti speciali sono curati da ragazzi che
hanno lavorato nel cinema americano (Batman,
The Cell, Fight
Club) e che con enormi sacrifici e con un vero atto
d’amore si sono dedicati a questo film, che altrimenti
non sarebbe stato possibile realizzare per limiti di budget.
Oggi
in Italia non si pensa più in grande. Nel film il sogno
del protagonista è molto semplice se vogliamo, aprire
un locale.
(Alessandro D’Altri) Oggi
poter realizzare il proprio sogno significa passare sotto
una serie di forche caudine. Viviamo in una realtà
del dopo, dell’attesa. Adesso sto male però dopo...
è la logica di Faoni (personaggio del film [NdR]);
siamo stati crudeli con lui che aspetta tutta la vita ed il
giorno dopo la pensione muore. Ma è così; non
c’è il dopo c’è l’adesso.
Se abbiamo un sogno, un desiderio perché aspettare
a realizzarlo. Ho letto un libro bellissimo su un signore
Giovanni Borghi, Mister Ignis, una persona che ha riempito
le case degli italiani di elettrodomestici ma nello stesso
tempo ha portato in Italia la pallacanestro, il ciclismo,
il pugilato. Bisogna tornare ad essere imprenditori di se
stessi. Tutti abbiamo in Italia due lavori: uno che non ci
piace ma ci mantiene ed uno che ci piace. Ma perché
non fare subito e direttamente quello che più ci piace?
Fabio
Volo, chi è Mario, il personaggi che interpreti nel
film?
(Fabio Volo) Quando
ho letto la sceneggiatura parecchio tempo fa in viaggio per
Miami a presentare Casomai, vi
ho ritrovato in parte la mia storia e quella dei miei amici
– io sono della provincia di Brescia che è del
tutto simile a quella di Cremona in cui è ambientato
il film -.
Mario è un ragazzo che ad un certo punto decide di
non piacere. Colleghi. Amici, familiari vorrebbero che fossimo
in un certo modo (lo studio, il lavoro, la ragazza) e tu cerchi
di assecondare le loro richieste per farti accettare. Chi
accetta questo diventa ad un certo punto spettatore di una
vita costruita da altri. Ma per essere accettati dagli altri
bisogna prima accettare se stessi. La felicità personale
dovrebbe arrivare prima di quella degli altri. Essere felice
significa donare alla propria famiglia un figlio felice, alla
propria moglie un marito felice e così via. Se uno
riesce a prendere luce da se stesso poi di riflesso cade un
po’ su tutto.
Quale
sono state le sensazioni a tornare a lavorare sul set con
D’Alatri dopo il primo film - Casomai
- che fu un vero e proprio salto nel vuoto per te.
(Fabio Volo) Questo
per me è un lavoro meraviglioso. Potendolo fare farei
un film al giorno. Per il mio ego vedere il mio faccione 6
metri per 3 è fantastico. Inoltre si crea una sorta
di famiglia: i primi giorni non conosci nessuno dopo 2 settimane
conosci tutti, dopo 4 li vorresti uccidere perché non
li sopporti più; ognuno con i suoi tempi, con le sue
cose. Io non mi considero un attore; mi piace il cinema e
non vorrei offenderlo più di tanto; da una parte sono
contento di fare questo film dall’altra mi dispiace
perché è segno che vi è una grossa crisi
del cinema italiano... (risate ed applauso della sala [NdR]).
Io mi impegno e spero che se ci sarà l’opportunità
di fare altri film diventi un po’ più bravo,
ma per tutti non solo per me. E’ bello andare al cinema
a vedere uno bravo, no?
Il
personaggio che più mi ha colpito nel film è
quello di Bicio. Come nasce?
(Alessandro D’Altri)
Il nome è tratto da un vero Bicio, un personaggio che
conosco e che vive in quel modo. Credo che rappresenti quel
sano distacco dal disordine del quotidiano. Quando l’ho
costruito mi piaceva avere qualcuno che fosse al di fuori
dal cuore ed al di là delle ideologie. Non è
un anarchico, è oltre, è un essere umano. Una
persona che ha dei valori, che vive con il coraggio dell’impopolarità,
della scomodità e merita uno spazio. Una persone che
guardano la vita a testa alta, e ce ne sono nel mondo reale,
ce ne sono.
L’Italia
da che tipo di febbre è debilitata?
(Alessandro D’Altri) In
Italia l’industria cinematografica è industria
di Stato. Il cinema lo produce lo Stato, ma dove sta scritto,
questo è comunismo. E’ il comunismo che è
azienda, lo Stato. Io voglio invece leggi per poter giocare
liberamente in uno stato democratico, per poter andare in
una banca e poter prendere un finanziamento, per avere una
fiscalizzazione se un imprenditore vuole investire nel mio
film, o nella mia opera o nel mio balletto o qualunque cosa
io voglia fare.
Tutti parliamo di riforma del cinema: io voglio una riforma
che dia libertà agli imprenditori di fare cinema, di
fare arte. Ed i pittori? Tutti all’estero, vanno a Madrid,
a Barcellona. Ma perché? E gli scrittori? I Poeti?
Gli scultori? Il balletto è morto in Italia. I Momix
da noi non ci sono. Perché? Eppure c’è
gente in Italia che studia, che soffre, che fatica e non riesce
a farlo. La dittatura di un paese comunista in un paese democratico
non la voglio. Non è vero che siamo tutti uguali. Ma
chi lo ha detto? Lo dice il comunismo, ma non è vero.
Ci sono dei valori, dei talenti e bisogna dare la possibilità
a questi di emergere. Io vedo continuamente gente che fa ma
non produce. Come è possibile questo? Diamo l’opportunità
a chi vuole investire, a chi vuole rischiare a farlo. Questo
non c’è. Diamoci una legge che consenta ad un
industriale, ad un signor Rana di mettere i suoi soldi nel
mio film. Spielberg ha fatto il suo primo film, Duel,
con i soldi dell’associazione dei dentisti americani.
Così si fa il cinema, in tutto il mondo. Quando in
Italia c’erano i veri imprenditori De Laurentiis, Ponti
si faceva del grande cinema, perché la gente metteva
le mani in tasca e se voleva fare una cosa la faceva. Infatti
se ne sono andati tutti in America. Bisogna ritrovare la fiducia,
il coraggio a rischiare. Oggi i produttori fanno cinema senza
rischiare; un po’ di soldi glieli da la Rai, un po’
lo Stato, un po’ di qua, un po’ di la, fanno il
pacchettino e via. Il commerciante quando apre la sua bottega
si fa carico di un rischio. Ciò che non vende gli rimane
sul groppone. Non vi può essere competizione senza
rischio.