Non
conclude gli studi e, dopo essere stato arruolato
tra i fucilieri senegalesi nell’esercito
coloniale durante la seconda guerra mondiale,
compie svariati lavori: muratore, meccanico,
scaricatore al porto di Marsiglia. Qui, si iscrive
al partito comunista francese e diventa sindacalista.
Negli anni cinquanta si dedica alla letteratura,
scrive il primo romanzo nel 1956: Le
Docker noir (Lo
scaricatore nero, Parigi, Èd.
Debresse), romanzo autobiografico che racconta
l’esperienza dei lavoratori africani all’estero.
A questo seguono O pays,
mon beau peuple (O
paese, mio bel popolo, Parigi, Èd.
Amiot Dumont) del 1957, su un emigrato che ritorna
in patria e cerca di formare i contadini alle
nuove tecniche occidentali; Les
bouts de bois de Dieu (Le
punte di legno di Dio, Parigi, Èd.
du Livre Contemporain) del 1960, sullo sciopero
che ha interessato i lavori della ferrovia Dakar-Niger
tra il ‘47 e il ‘48, che gli dà
la notorietà; Voltaïque
(Voltaico, Parigi,
Èd. Présence africaine) del 1961,
raccolta di racconti, L’Harmattan
(Parigi, Èd. Présence africaine)
del 1963, storia di un medico senegalese che
cerca di coniugare medicina moderna e tradizionale
africana; Véhi-Ciosane
(Parigi, Èd. Présence africaine)
del 1964, altra raccolta di racconti; Le
Mandat (Il Vaglia,
Parigi, Èd. Présence africaine)
sempre del 1964, racconta di un uomo che riceve
un vaglia, ma non può ritirarlo per la
mancanza di documenti di identità; Xala
(L’impotenza temporanea,
Parigi, Èd. Présence africaine)
del 1973 è la storia dell’impotenza
temporanea di un rappresentante della nascente
borghesia senegalese; Le
dernier de l’empire (L’ultimo
dell’impero, Parigi, Èd.
L’Harmattan) del 1981, su un immaginario
colpo di Stato organizzato dal presidente senegalese.
Tra il 1962 e il 1963 si rivolge al cinema,
sua passione fin dall’infanzia quando
creava scompiglio davanti all’ingresso
delle sale per poter entrare gratis, ma che
esplode dopo la visione di Olympia
di Leni Riefensthal. Frequenta la scuola di
cinema di Mosca, presso gli studi Gorky, sotto
l’ala di Marc Donskoï e, poi, si
dà alla regia.
Il primo film è del 1962: Borom
Sarret (Il Carrettiere
, 20’, b/n, 35 mm), primo film di un regista
africano girato in Africa, premiato con il “Premio
Opera Prima” al Festival di Tours, a metà
strada tra Neorealismo e Nouvelle Vague, narra
la triste giornata di un carrettiere, al lavoro
per le vie di Dakar.
Nel 1963 gira anche un documentario prodotto
dal governo del Mali, mai commercializzato:
L’Empire de Songhai
(L’impero Songhai).
Nel 1964 realizza un‘altra pellicola mai
commercializzata, premiata al Festival di Tours
e di Locarno nel 1965: Niaye
(35’, b/n, 35 mm), storia di un capo villaggio
che mette incinta la figlia. La moglie, per
espiare la colpa del marito, si uccide, mentre
il figlio si arruola nell’esercito francese
ed impazzisce. Lo zio ne approfitta e lo induce
ad uccidere il padre, per prenderne il posto.
Un film di ambientazione esclusivamente rurale:
l’unico riferimento all’Occidente
è costituito dalla visita dell’ufficiale
francese per riscuotere le imposte. L’obiettivo
della denuncia di Sembène è il
potere, tanto quello francese che interferisce
e scavalca quello del capo villaggio, tanto
quello di questa comunità, con le sue
contraddizioni: condanna, difatti, il parricidio,
ma non l’incesto.
Il 1966 è l’anno del primo lungometraggio
di Sembène e della cinematografia africana
con La Noire de...
(La Nera di...
70’, b/n, 35 mm), che ha vinto il “Premio
Jean Vigo”, l’ “Antilope d’Argento”
al Festival delle Arti Negre di Dakar e il “Tanit
d’Oro” alle Giornate Cinematografiche
di Cartagine. Cruda ed essenziale storia di
una giovane donna senegalese che segue i suoi
padroni in Francia, dove si toglierà
la vita per la desolazione.
Due anni dopo, nel 1964, dirige Mandabi
(Il Vaglia, 90’,
v. francese, 105’, v. wolof, col, 35 mm),
vincitore di una “Menzione” e del
“Premio Internazionale della Critica”
alla Biennale di Venezia e del “Premio
dei Cineasti Sovietici” al Festival di
Tachkent, sulle peripezie di un uomo che riceve
un vaglia dal nipote, ma non può ritirarlo,
perché privo di carta d’identità.
Del 1969 sono due documentari: Traumatisme
de la femme face a la polygamie (Trauma
della donna di fronte alla poligamia)
e Les derivès du
chômage (Gli
sbandati della disoccupazione).
Nel 1970 ne gira un altro su commissione del
Consiglio Ecumenico delle Chiese statunitensi
interessate ad un bilancio delle condizioni
dei giovani senegalesi a 10 anni dall’indipendenza:
Taw (Il
figlio maggiore, 24’, col, 16 mm).
Si seguono le vicende di un ragazzo alla ricerca
di un lavoro, non più credente e attratto
dalla cultura francese. Offrono lavoro al porto,
ma egli non possiede i soldi per avervi accesso,
così la madre gli dà da vendere
un paio di pantaloni del padre (simbolo della
spoliazione a cui è stata soggetta ed
è ancora sottoposta l’Africa).
Il giovane non si deciderà a compiere
questo atto sacrilego per un africano e fuggirà
con la fidanzata, rimasta incinta. Sembène
fa un excursus sullo smarrimento della gioventù
senegalese allo sbaraglio e ha dichiarato che,
non soddisfatto, forse, un giorno ne farà
un lungometraggio.
Nel 1971 realizza Emitai
(Dio del tuono,
95’, col, 35 mm), che ha ottenuto la “Medaglia
d’Argento” al Festival del Cinema
di Mosca. È un film storico, per scrivere
il quale Sembène ha tratto spunto da
una leggenda di un’eroina senegalese,
An Sitoë, che si era opposta, durante la
seconda guerra mondiale, alla requisizione di
riso da parte delle truppe francesi. La pellicola
narra della resistenza a questo sopruso dell’esercito
della Francia, che pretendeva la consegna delle
scorte di riso, di un villaggio joola, un popolo
della regione della Casamance presso cui il
regista ha veramente effettuato le riprese.
Mentre gli uomini interrogano gli dei sul da
farsi, le donne si danno, stoicamente, a una
resistenza passiva. Ancora attenzione all’universo
femminile di cui viene messa in luce la forza,
celata sotto l’apparente docilità.
Dopo due documentari di carattere sportivo del
1972: L’Afrique
aux Olympiades (L’Africa
alle Olimpiadi) e Basket
africain aux J. O. du Münich R.F.A.
(Basket africano ai giochi
olimpici di Monaco R.F.A), nel 1975 trae
un film dal suo romanzo: Xala
(L’impotenza sessuale
temporanea, 90’, col, 35 mm). È
la storia di un uomo arricchitosi vendendo i
terreni un tempo di dominio pubblico, che si
sposa per la terza volta con una giovane donna,
ma è colpito dalla xala, una forma d’impotenza
temporanea (concetto esteso simbolicamente all’intera
nuova classe borghese).
Guarirà solamente dopo un rito espiatorio:
verrà coperto di sputi da quella povera
gente di cui s’è preso gioco. Compaiono
qui le tematiche più care all’autore:
l’accusa alla borghesia senegalese di
aver calcato le orme di quella francese, la
poligamia con le sue implicazioni e la questione
della lingua wolof, a cui viene preferito il
francese. Per questo l’opera ha subito
alcuni tagli da parte della censura del Paese.
Nel 1977 porta a termine Ceddo
(Il popolo, 120’,
col, 35 mm), film ambientato nel diciassettesimo
secolo che narra l’islamizzazione forzata
di una comunità già divisa tra
la religione animista e quella cattolica. A
tutto questo si oppongono i ceddo, gli uomini
del rifiuto, che lottano contro questa imposizione.
Una forte accusa contro l’assolutismo
religioso ad opera di un regista che si dichiara
materialista e ateo. Il film è stato
proibito in Senegal con la scusa di non conformità
del titolo all’ortografia ufficiale, in
verità, perché una sferzata contro
la potente classe dei marabut.
Nel 1988, insieme a Thierno Faty Sow, realizza
Camp de Thiaroye
(Campo Thiaroye,
150’, col, 35 mm), presentato alla Mostra
del Cinema di Venezia, vincitore del “Gran
Premio Speciale della Giuria”, del “Premio
Unicef”, del “Premio Rivista Cinema
Nuovo” e del “Premio Speciale Ciack
d’Oro”. Tratta del periodo trascorso
dai ”tiralleurs senegalaises” (così
erano chiamati i fucilieri dell’esercito
coloniale, anche se tra loro c’erano uomini
provenienti da gran parte dell’Africa)
nel campo di smistamento prima del ritorno a
casa, durante il quale non verrà riconosciuto
loro il giusto salario. Alla loro rivolta pacifica
i francesi risponderanno con il fuoco, compiendo
una strage. Episodio deplorevole della storia
francese su cui Sembène pone l’attenzione
per fare un’ “opera della memoria
e dell’identità”. Apprezzabile,
caso più unico che raro, la produzione,
nata dalla cooperazione di Algeria, Tunisia
e Senegal.
Guelwaar (115’,
col, 35 mm) è del 1992: è stato
anch’esso in concorso al Festival di Venezia,
in cui ha conquistato la “Medaglia d’Oro
della presidenza del Senato”. È
la ricostruzione della morte di un leader cattolico,
promotore del rifiuto degli aiuti internazionali
che rendono l’Africa schiava e, per questo,
ucciso e dell’equivoco sorto con la comunità
musulmana per la sua sepoltura. Infatti, all’obitorio,
è avvenuto uno scambio di salma con quella
di un’alta personalità musulmana,
che porterà allo scontro tra le due parti.
Un film che vuole restituire al continente africano,
umiliato dall’assistenzialismo, la dignità
e la forza di risollevare da solo le sue sorti.
Faat-Kiné
(120', col, 35mm) è del 1999, narra la
storia di una donna abbandonata dal marito,
rimasta sola con due figli, ai quali riuscirà,
con coraggio e fatica, a far terminare gli studi.
In questo film si scontrano e si incontrano
diverse tipologie della società africana:
la nonna, la nipote e la personalità
moderna di Faat-Kiné.
Con Moolade, suo ultimo film, Ousmane Sembene
racconta una storia di lotta ed emancipazione
femminile che farà discutere molto gli
uomini dell’Africa.
Il film di Sembene è stato girato in
un villaggio di campagna costruito intorno ad
una delle più antiche moschee dell'Africa
occidentale: le donne del villaggio si ribellano
contro gli anziani, tutti maschi, per proteggere
alcune ragazzine che si rifiutano di sottoporsi
alla pratica di mutilazione. La protagonista
del film, interpretata da Colle Gallo Ardo Sy,
è una donna che dopo essere stata mutilata
ha perso due figli durante il parto ed è
riuscita ad avere un'unica bambina con il taglio
cesareo. Ora la donna, che è una seconda
moglie, vuole impedire che la sua unica figlia
venga mutilata.
|