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Autore |
Isaac
Asimov |
Prima
edizione |
Oscar
Mondadori 1973 |
Pagine
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291 |
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Regia |
Alex
Proyas |
Sceneggiatura |
Akiva
Goldsman e Jeff Vintar |
Fotografia |
Simon
Duggan |
Montaggio |
Shawn
Broes, William Hoy, Richard Learoyd, Armen Minasian |
Musiche |
Marco
Beltrami, Stephen Barton |
Interpreti |
Will
Smith, Bridget Moynahan, Alan Tudyk,
Bruce Greenwood, James Cromwell |
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“..è
impossibile distinguere un robot da una persona onesta e rispettabile..”
LE
TRE LEGGI DELLA ROBOTICA
1- Un robot non può recar danno a un essere umano, né
permettere che, a causa della propria negligenza, un essere
umano patisca danno.
2- Un robot deve sempre obbedire agli ordini degli esseri umani,
a meno che contrastino con la Prima Legge.
3- Un robot deve proteggere la propria esistenza, purchè
questo non contrasti con la Prima e la Seconda Legge
La raccolta di 9 racconti di Isaac Asimov, pubblicata per la
prima volta nel 1950, ha alla base le tre leggi della robotica,
che regolano l’operato dei robot come equazioni matematiche.
Attraverso di esse si stabilisce l’equilibrio di un robot
e parallelamente il suo rapporto con il genere umano. Io,
robot quindi. Io. Robot. Due mondi opposti. L’io,
l’essere umano che ha il potere di creare e controllare.
E il robot, che deve obbedire. Ma non solo due mondi opposti.
Solo una virgola li separa. Solo un insignificante (all’apparenza)
ricciolo li distanzia. In certi casi si può pensare ad
un’identificazione tra l’umano e l’androide.
In altri momenti quell’Io, messo in posizione privilegiata
sembra essere l’affermazione di una volontà di
esistenza, il riconoscimento di una coscienza pensante. Tutto
questo è racchiuso nei racconti di Asimov, in cui i robot
non sono trattati come materia tecnologica, ma anche in presenza
di macchine, si parla di sentimenti e problemi etici. Le modifiche
che i robot subiscono sono tutte a livello “mentale”,
che vanno ad intralciare la loro corretta percezione delle tre
leggi. Nella sua scrittura ironica, semplice e chiara, priva
di pretesti scientifici, Asimov ci mostra il mondo del futuro,
del suo futuro, visto che i racconti risalgono agli anni ’50
e i racconti sono ambientati in un arco di tempo che va dal
1998 al 2005 D.C. In questa New York del futuro, che sembra
lontano anche a noi che ne facciamo già parte, i robot
sono macchine curate da una robopsicologa, esseri metallici
che fanno parte della vita quotidiana: compagni di giochi per
bambini, aiutanti nel lavoro. Rispecchiano vizi, stati d’animo
e modi di reagire alle sollecitazioni tipici del mondo degli
uomini. Un modo diverso per prendersi anche gioco degli umani!
I personaggi dei racconti sono costantemente gli stessi: la
robopsicologa, l’anziano statista, il giovane rampante
in attesa di una promozione, i “semplici” astronauti
che svolgono i lavori manuali a giro per lo spazio. Quasi come
se stereotipando l’elemento umano, si lasciasse più
spazio ai robot (i reali protagonisti) e se ne riuscisse così
a cogliere le sfumature. C’è anche la parte inquietante
in questa visione futuristica: lo scrittore profetizza la possibilità
da parte dei robot di diventare membri dell’umanità,
assumendo addirittura sembianze umane. Col procedere nella lettura,
si scopre che le tre leggi della robotica, corrispondono a ciò
a cui l’uomo aspira da sempre: la perfezione etica. L’uomo
crea robot per affermare in qualche modo la sua volontà
di onnipotenza, per soddisfare la sua brama di perfezione. In
certi casi ci troviamo quasi di fronte ad uno scambio di personalità.
È come se avvenisse un’osmotica trasposizione di
“umanità” nell’“inumano”
e viceversa. I robot assumono caratterialmente sembianze sempre
più umane: sono opera umana e proprio per questo, imperfetta.
Mentre l’uomo ne guadagna in freddezza. Nei suoi racconti
Asimov accoglie tutti i punti di vista riguardo agli androidi:
i detrattori e i sostenitori. Gli scettici e gli ottimisti.
Alcuni vedono le Macchine come inibizioni all’iniziativa
umana, pensano che spoglino l’uomo della sua anima. Altri
invece hanno molta fiducia nei robot, vedendoli come fautori
dell’equilibrio mondiale. Perché i robot di Asimov
non sono solo programmati, ma sono creati con una mentalità
vera e propria adatta per fini diversificati. Questo li porta
a dilemmi esistenziali, ad interrogarsi sulle proprie facoltà
di pensiero, ad impazzire, a cadere in crisi per responsabilità
troppo grandi, a provare addirittura disprezzo per il genere
umano. Per fortuna esiste anche la parte consolatoria in questa
realtà a tratti minacciosa. Per quanto questi robot ambiscano
ad una posizione umana, le loro risate rimangono metalliche
e i loro sguardi indecifrabili. Rappresentano l’eterno
desiderio di umanità, in cui umanoidi metallici hanno
sostituito burattini di legno. C’è un misto di
terrore e desiderio per questa realtà futura. È
eccitante immaginare che l’uomo possa soddisfare il suo
desiderio di onnipotenza dando vita ad esseri pensanti. Ma spaventa
l’idea che tali esseri possano diventare indipendenti
da noi.
Già L’uomo bicentenario,
film del 2000 in cui un automa con le sembianze di Robin Williams
aspirava a farsi riconoscere come essere umano, si presentava
come trasposizione cinematografica del pensiero di Asimov. Nel
2004 è uscito nelle sale Io, Robot
di Alex Proyas. Nonostante il titolo possa trarre in inganno,
il film non ricalca alla perfezione i racconti di Asimov. Il
libro è più che altro uno spunto per il film,
che prende una piega diversa e autonoma. Partendo dal presupposto
che sarebbe stato difficile, se non impossibile, ricreare le
atmosfere tipiche del libro, il film ha come protagonista il
detective Del Spooner (un palestrato Will Smith), incaricato
di svelare il mistero di un omicidio per il quale è accusato
un robot, capace di sognare, pensare e commettere errori proprio
come un umano. Il regista parte dalle tre leggi della robotica,
per sfruttare solo in parte la concezione futuristica.
Siamo nel 2035, la freddezza dello scenario è a dir poco
agghiacciante, in cui le tonalità di bianco e grigio
portano ad una spersonificazione che già introduce quale
sarà la visione del futuro. Lo scettico detective di
colore, che non approva questo mondo di latta, è accompagnato
nelle sue ricerche dalla robopsicologa Susan Calvin. Al regista
manca però la capacità visionaria di Asimov. Le
scene degli inseguimenti, l’alta tecnologia, gli impatti
visivi sono d’effetto. Il robot, disegnato da Patrick
Tatopoulos, è l'attore sconosciuto Alan Tudyk, che con
la mimica fa muovere questa creatura digitale e allo stesso
tempo inquietamente umana. Ma l’etica della robotica del
libro finisce per essere assoggettata al servizio di sparatorie
e azione, che fanno perdere al titolo il suo significato originale.
Un'occasione mancata. Poco spazio è dedicato alla riflessione
sul rapporto umano-robot, così come rimane nulla dei
dilemmi etici sollevati dallo scrittore. Non era facile ricavare
un film con qualche significato in più, che si staccasse
dalla meccanicizzazione anche nella trama e nei sentimenti,
che si differenziasse dai soliti film fantascientifici.