Perciò prima di iniziare
a girare Witness mi sono documentato
leggendo molti libri sui pericoli di Hollywood e ho capito che
sarebbe stato basilare non cadere vittima delle mie ambizioni.
Successivamente ebbi tre appuntamenti fondamentali: col produttore,
con la star (Harrison Ford) e infine col responsabile degli
studi. Ci siamo accordati velocemente, ma nacque in me l'esigenza
spontanea di raccontare 'a voce' la storia, anche se tutti la
conoscevano già attraverso la sceneggiatura. Ho la convinzione
che le parole riescono meglio della 'penna' a spiegare circostanze,
sensazioni, emozioni. Il produttore immediatamente sottolineò
che il mio compito era mettere in scena delle storie che mi
venivano assegnate e non viceversa. Iniziai comunque a descrivere
il film come se fossi stato un cantastorie del Medioevo, enfatizzando
le situazioni: il vento che soffia, i carri che a fatica avanzano,
sembrava un pezzo d'epoca, mentre invece tutto era ambientato
nei tempi moderni.
Alla fine la maggior parte dei presenti ebbe il coraggio di
dire che c'era maggior chiarezza nel racconto che nella sceneggiatura.
Dunque non è possibile pensare di lavorare in America
se non si è totalmente dentro la storia che si vuol raccontare,
questa deve essere in te come se scorresse nel tuo sangue, come
se fosse un fuoco interiore. Ma non dimentichiamo che è
utile anche un pizzico di fortuna!
A
quale dei suoi film è più legato?
Gallipoli è stato un film
molto toccante e impegnativo in quanto narra vicende connesse
alla Prima Guerra Mondiale, intrecciando la storia 'del mondo'
con quella dell'Australia. Perciò questo lavoro è
divenuto particolarmente indimenticabile. Bergman diceva:
"Nel cinema puoi sospendere l'incredulità, tranne
che con la morte." Questo film è stato fatto per
dimostrare che Bergman non sbagliava!
Come
nascono le sue sceneggiature? Dove trova l'elemento base per
costruirle?
Il tipo di lavoro che preferisco è quello fatto in
collaborazione, in squadra. Fondamentale è stato leggere
un libro del celebre drammaturgo francese Jean Claude Carrière
Il linguaggio segreto del cinema. Per scrivere una sceneggiatura
bisogna usare la parte sinistra e la parte destra del cervello,
ovvero la logica e l'inconscio. Si deve accendere la 'lampadina'.
Spesso gli articoli dei quotidiani mi danno variegati input,
infatti il mio primo film nasce da una notizia che lessi circa
un omicidio con arma da fuoco, accanto c'era un piccolo trafiletto
che parlava di 23 morti in un incidente autostradale. Da questo
ne ho tratto che se vuoi uccidere devi farlo con l'auto!
In
che modo ama lavorare con gli attori? Come costruisce il casting?
Quando costruisco il casting mi trasformo in un investigatore
e mi impegno a scoprire i variegati aspetti dell'attore, che
prima di essere tale è semplicemente un individuo.
Durante i provini partecipo attivamente per conoscere il più
possibile dell'attore, ma soprattutto la sua reazione nei
momenti in cui il regista non è dietro la macchina
da presa. Questo è un test basilare per me.
Ritengo il casting fondamentale per la perfetta riuscita di
un lavoro cinematografico. Se si ha un'ottima idea e un buon
cast è possibile persino avere una sceneggiatura con
qualche difetto. Se la scelta degli attori è azzeccata
non c'è molto altro da fare.
Quanto
influisce il luogo, la 'location', nella sceneggiatura e nelle
riprese?
Sono molto sensibile alla geografia, alla natura, agli edifici
e all'atmosfera dei luoghi. Preferisco lavorare in un luogo
piacevole e per non più di quattro ore al giorno.
Ma purtroppo esistono luoghi impossibili da filmare, quindi
talvolta è necessario concentrare l'essenza in studio,
ricreando il contesto.
È
d'accordo con l'espressione di Peter Bogdanovich: "Alla
fine ogni regista fa sempre lo stesso film"?
In ogni mio lavoro c'è l'impegno di spaziare il più
possibile, anche se alla fine è inevitabile che nei
suoi film il regista lasci la sua impronta digitale. Ogni
lavoro è come un figlio.
Che
atmosfera si respirava sul set de L'attimo fuggente, un film
divenuto cult movie in Italia?
È stata un'esperienza umanamente e professionalmente
meravigliosa, c'era una particolare energia nella troupe e
l'atmosfera era quella che emerge dal film. Lavorare con giovani
attori non professionisti è stato notevolmente stimolante,
innanzitutto per l'autenticità dei rapporti che si
è creata sul set.
Sono felice quando penso al fatto che gli attori sono ancora
uniti dopo tanti anni dalla fine delle riprese. A riscaldare
gli animi e conseguentemente l'aria hanno contribuito le numerose
feste popolari che si svolgevano nel Paese dove stavamo girando.
Vede
differenze tra i giovani de L'attimo
fuggente e i giovani di oggi?
La differenza sostanziale è che la generazione di oggi
è evidentemente conformista, inquadrata ed esageratamente
abituata agli stimoli del pre-linguaggio fin dall'infanzia.
In passato non era così, semplicemente per l'assenza
di mezzi come quelli contemporanei.
Come
sono state girate le scene di battaglia in Master
& Commander?
È stato un mix fra bassa e alta (digitale, C.G.I.)
tecnologia. Alcune scene sono state girate in una grande vasca,
in quanto girare in mare richiedeva più tempo e soprattutto
sarebbe stato meno realistico.
La sfida maggiore era mostrare i movimenti del vascello, la
soluzione fu semplicemente di muovere la m.d.p. da una barca
davanti al vascello. Un'altra tecnica 'bassa' utilizzata è
stata quella di rovesciare acqua sulla nave, per dare l'idea
di tempesta. Sono state fatte circa 700 riprese di navi in
miniatura con la tecnologia digitale e C.G.I.; è stato
come tornare a scuola.
La mia preoccupazione maggiore riguardava i tecnici, i quali
provenivano tutti da esperienze nel fantasy (la tecnologia
usata era C.G.I.), che dovevano invece lavorare con elementi
naturali. All'inizio, infatti, le immagini delle riprese venivano
troppo belle e pulite ed i costi erano altissimi. Per fare
Master & Commander sono stati necessari tre anni: un anno
per la scrittura, uno per filmare e l'altro per il montaggio.
Qual
è il suo punto di vista sulla computer grafica e sugli
effetti speciali? Le ritiene tecnologie necessarie oppure
sarebbe possibile tornare all' "artigianato"?
Le giovani generazioni sono cresciute con videogames e derivati,
perciò la tecnologia C.G.I. risponde perfettamente
alle loro esigenze. Ad esempio, Master
& Commander ha necessitato di 730 inquadrature
in C.G.I., solo grazie a innovazioni tecnologiche come quelle
degli ultimi anni si è potuta rendere film una storia
che prima era impossibile raccontare così fedelmente
attraverso fotogrammi. Citando Hitchcock: "Bisogna tenere
l'attenzione del pubblico in ogni modo, se costa meno è
meglio!"
Esiste
un legame tra il fatto che in molti dei suoi film il protagonista
esce sconfitto alla fine della storia e la scelta di attori
in momenti critici della loro carriera?
Harrison Ford, Robin Williams, Jim Carrey nella fase in cui
li ho incontrati sentivano il bisogno di dare una svolta alla
loro fama. Ad esempio Harrison Ford voleva far allontanare
il pubblico dall'immagine di Indiana Jones. In Witness-Il
testimone sono state perciò unite le esigenze
dell'attore con le mie idee e conseguentemente si è
creata un'intensa sinergia tra me e in questo caso Harrison
Ford, come se entrambi avessimo il desiderio di volare, di
volare verso l'ignoto. Così si è riusciti insieme
a creare progetti sorpendenti.
Come
è nata l'idea di The Truman Show,
un tema così attuale ai giorni nostri?
L'idea è stata dello sceneggiatore Andrew Niccol, il
regista di Gattaca, anche se
il concetto su cui mi baso in ogni mio lavoro è di
un regista che collabora con lo sceneggiatore. Un regista
è uno scrittore. Ricordo un commento di un critico
di New York: "Non funzionerà mai! È impossibile
tollerare di vedere gente che non fa niente!"
Ha
mai pensato ad un film low budget, anzichè ad un kolossal,
magari solo per soddisfare un sogno a scapito del successo?
Da circa dieci anni sto analizzando un progetto, ma la situazione
è notevolmente complicata. Master
& Commander ha avuto a disposizione un budget elevato
ma soprattutto è stata la passione l'elemento essenziale
per la riuscita del film. È probabile che il prossimo
film sia a low budget, ma le complicazioni, come ripeto, sono
molte, quindi non ne ho ancora la certezza.
Ha
mai provato insoddisfazione nella sua carriera?
Quello del regista è un lavoro pericoloso e richiede
una particolare attenzione. Nel mondo del cinema due occhi
non sono mai sufficienti, perciò bisogna essere vigili
in qualsiasi momento e in qualsiasi contesto. Mi piace paragonare
il mio lavoro a quello dell'alpinista: "ogni errore può
essere fatale".
Durante
la sua carriera ha toccato variegate tematiche. In questo
momento, quali crede che siano le tendenze da elaborare, considerata
la pochezza di idee soprattutto a Hollywood?
La mia risposta può sembrare banale, facile, ma sono
convinto che sia compito di tutti noi e tutti voi trovare
idee e concetti da sottolineare. Non è possibile nascondere
le diverse crisi che sta attraversando il cinema, ma non dobbiamo
dimenticare che il mondo ha ancora molto da raccontare!