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La
61ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
di Venezia omaggia con il Leone d’Oro il maestro
del cinema portoghese.
Il
Leone d'Oro alla carriera che Manoel De Oliveira riceverà
quest'anno a Venezia rappresenta una sorta di premio
ad un "miracolo vivente" quale è stata
la vita stessa del regista portoghese.
Il "decano" (ha 96 anni quasi compiuti) dei
registi di tutto il mondo ha avuto finora un destino
assai strano: nato il 12 dicembre 1908 a Oporto, la
sua prima partecipazione alla lavorazione di un film
con un ruolo secondario di attore è del 1928.
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Corridore automobilistico fino
al 1940, ballerino provetto, poco propenso agli studi severi,
il suo grande amore si rivela da subito il cinema e nel 1931
a 23 anni gira il suo primo film: Douro,
Faina Fluvial (Douro, lavoro fluviale).
Il cortometraggio va male e per dieci anni De Oliveira resta
fermo per mancanza di finanziatori (non certo di idee).
Nel 1942 invece gira uno dei suoi film più belli, Aniki-Bóbó,
splendida storia di bambini e di periferia dove il taglio quasi
documentaristico e "neo-realistico" dell'ambientazione
si fondono con una condotta straniata e straniante della recitazione
e della vicenda: la storia, minima ma intensa, di un bambino
che ruba una bambolina per regalarla alla ragazzina di cui è
innamorato e poi rischia di essere travolto dai sensi di colpa
è raccontata splendidamente. Il film, ovviamente, non
rientra nei canoni estetici del regime fascista di Salazar e
il regista rimane quattordici anni senza poter girare. Nel 1956
rientrerà in gioco con due documentari (O
pintor e a cidade - Il pittore e la città, 1956
e O pão - Il pane,
1959) ma il suo primo vero film dopo Aniki-Bóbó
sarà Acto de primavera
del 1963, film-documento sulla recitazione della Passione di
Gesù da parte degli abitanti del paesino di Curalha.
Dopo l'arresto nel 1963 e una detenzione di qualche mese nelle
carceri della polizia politica (la famigerata PIDE), De Oliveira
gira un corto desolato e pessimista, A
caça (La caccia)
celebre per il finale (fatto poi cambiare dalla censura) in
cui la mano della vittima di una palude con sabbie mobili si
rivela alla fine un moncherino inutilizzabile.
Ma la "vera" carriera di cineasta di De Oliveira inizia
soltanto ora nel 1971; con la cosiddetta ‘Tetralogia degli
amori frustrati’ il non più giovane regista (ha
63 anni!) inanella quattro film che gli valgono il rispetto
e la fama in Europa. Sono Il passato e
il presente (1971), Benilde o La
Vergine Madre (1975), Amore di
perdizione (1978) e Francisca
(1981), forse uno dei suoi più belli e intensi, sintesi
qual è di narrazione classica e sperimentazione linguistica.
Da allora non si fermerà più (né ha intenzione
di farlo tuttora): venti film in ventitré anni sono quanto
neppure il più fiducioso degli uomini avrebbe potuto
sperare per una carriera iniziata tanto in ritardo.
La sua filmografia contiene anche uno dei film più lunghi
della storia del cinema (La scarpina di
raso del 1985, ispirata a un dramma di Paul Claudel,
che dura ben 415 minuti!). E molti altri suoi film non scherzano
affatto in quanto a durata: Amore di perdizione
dura 261', Francisca 166', La
valle del peccato (Vale Abraão
del 1993) dura 187' (ma ce n'è una versione lunga 203'
più amata dallo stesso regista),
Parola e utopia del 2000 è di 133' mentre La
Divina Commedia del 1993 è di 140'.
Di tutti questi film De Oliveira è poi autore assoluto:
sceneggiatura e regia sempre, spesso anche il soggetto sono
suoi. La capacità di lavoro di questo grande Vecchio
sembra a tutt'oggi incontenibile. E la speranza degli appassionati
di cinema è che non si fermi ancora.