anno 1
numero 0
marzo 2004

Ragione e sentimento

[matteo lenzi]
Non è una recensione sull'omonimo film (che tra l'altro non ho visto)! È un modo per sintetizzare la dicotomia (più apparente che reale) tra i due grandi registi rimasti in ballo. Lo spunto nasce dalla già mitica cena di ieri sera (ma eravamo più cinofili o cinefili, non ho capito.?), in cui l'iniziale sobrietà dei commensali ha permesso di accennare un mini-dibattito sul confronto fra i due mostri sacri, sempre con la premessa che dare il votino a questi due è impresa più impossibile che ardua. Essendo stata di stimolo, la discussione mi ha spinto un po' a riflettere sui due diversi
modi di concepire il cinema, l'arte e la vita di Fellini e Kubrick. E parto facendomi suggestionare da un particolare in sé casuale, i nomi (nomina sunt consequentia rerum, dicevano del resto gli antichi!): Fellini, nel gioco vellutato delle consonanti, richiama già atmosfere oniriche, sganciate dalla logica comune, e ancor più evocativo è il termine "felliniano", che ci catapulta nella (falsa, ma più reale del reale!) Rimini di Amarcord.
Le due K separate dalla R sono invece uno schiaffo, un'esortazione quasi marziale a "spalancare gli occhi" per osservare lucidamente una condizione esistenziale troppo spesso volontariamente ignorata, per la paura di scoprire quanto vuoto ci sia in realtà dietro molti nostri atti e pensieri.
Dicevo prima che la dicotomia è più apparente che reale: non si può pensare che registi considerati gelidi intellettuali (Kubrick, Godard, Hitchcock), abbiano deciso di intraprendere le carriere artistiche per una scelta dettata solo dalla ragione. Io vedo nei due un modo diverso di rispondere ad un disagio, a una stessa esigenza.
Fellini vede una realtà che gli appare stretta, talvolta incomprensibile, e ne crea un'altra a suo uso e consumo (e, per fortuna, anche nostro!), rivive il suo passato e gli da' ottiche nuove,di volta in volta ipertrofiche o evanescenti, e così facendo compie anch'egli un'operazione altamente intellettuale, mostrando che forse non è questo il migliore dei mondi possibili. Non diverso, credo, è il dilemma del giovane Kubrick, quando, prima con la fotografia e poi con la telecamera, cerca di darsi delle risposte a domande che tutti prima o poi si pongono. Non crea un illusorio paradiso artificiale, ma esplora la realtà con pinze e bisturi. Il frequente richiamo alla sua abilità nel padroneggiare i vari generi nasce forse da un fraintendimento: a K. poco importa di girare un film storico, SF, bellico, horror. Non si adatta al genere, ma adatta il genere alle sue esigenze, dimostrando tra l'altro che la Commedia Umana è tale in ogni contingenza storica o ambientale: quando si riesce a far questo, per forza di cose si riesce anche a "cavarsela" in tutti i generi. Tutto sommato credo sia riduttivo parlare di cinema della ragione e del sentimento, per essere un grande artista occorrono sia cuore che cervello; laddove Fellini ci mostra i suoi sogni nasconde scientemente la sua grande mente; laddove Kubrick mostra spietatamente la realtà, nasconde una propria ansia mai del tutto sopita.
Scusate lo sproloquio, ma la materia in questione mi ha appassionato!