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[matteo
lenzi] |
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Non
è una recensione sull'omonimo film (che tra l'altro
non ho visto)! È un modo per sintetizzare la dicotomia
(più apparente che reale) tra i due grandi registi
rimasti in ballo. Lo spunto nasce dalla già mitica
cena di ieri sera (ma eravamo più cinofili o cinefili,
non ho capito.?), in cui l'iniziale sobrietà dei
commensali ha permesso di accennare un mini-dibattito
sul confronto fra i due mostri sacri, sempre con la premessa
che dare il votino a questi due è impresa più
impossibile che ardua. Essendo stata di stimolo, la discussione
mi ha spinto un po' a riflettere sui due diversi |
modi
di concepire il cinema, l'arte e la vita di Fellini e Kubrick.
E parto facendomi suggestionare da un particolare in sé
casuale, i nomi (nomina sunt consequentia rerum, dicevano del
resto gli antichi!):
Fellini, nel gioco vellutato delle consonanti, richiama già
atmosfere oniriche, sganciate dalla logica comune, e ancor più
evocativo è il termine "felliniano", che ci
catapulta nella (falsa, ma più reale del reale!) Rimini
di Amarcord.
Le due K separate dalla R sono invece uno schiaffo, un'esortazione
quasi marziale a "spalancare gli occhi" per osservare
lucidamente una condizione esistenziale troppo spesso volontariamente
ignorata, per la paura di scoprire quanto vuoto ci sia in
realtà dietro molti nostri atti e pensieri.
Dicevo prima che la dicotomia è più apparente
che reale: non si può pensare che registi considerati
gelidi intellettuali (Kubrick, Godard, Hitchcock), abbiano
deciso di intraprendere le carriere artistiche per una scelta
dettata solo dalla ragione. Io vedo nei due un modo diverso
di rispondere ad un disagio, a una stessa esigenza.
Fellini vede una realtà che gli appare stretta, talvolta
incomprensibile, e ne crea un'altra a suo uso e consumo (e,
per fortuna, anche nostro!), rivive il suo passato e gli da'
ottiche nuove,di volta in volta ipertrofiche o evanescenti,
e così facendo compie anch'egli un'operazione altamente
intellettuale, mostrando che forse non è questo il
migliore dei mondi possibili. Non diverso, credo, è
il dilemma del giovane Kubrick, quando, prima con la fotografia
e poi con la telecamera, cerca di darsi delle risposte a domande
che tutti prima o poi si pongono. Non crea un illusorio paradiso
artificiale, ma esplora la realtà con pinze e bisturi.
Il frequente richiamo alla sua abilità nel padroneggiare
i vari generi nasce forse da un fraintendimento: a K. poco
importa di girare un film storico, SF, bellico, horror. Non
si adatta al genere, ma adatta il genere alle sue esigenze,
dimostrando tra l'altro che la Commedia Umana è tale
in ogni contingenza storica o ambientale: quando si riesce
a far questo, per forza di cose si riesce anche a "cavarsela"
in tutti i generi. Tutto sommato credo sia riduttivo parlare
di cinema della ragione e del sentimento, per essere un grande
artista occorrono sia cuore che cervello; laddove Fellini
ci mostra i suoi sogni nasconde scientemente la sua grande
mente; laddove Kubrick mostra spietatamente la realtà,
nasconde una propria ansia mai del tutto sopita.
Scusate lo sproloquio, ma la materia in questione mi ha appassionato!
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