anno 1
numero 0
marzo 2004

L'anno che fu (ovvero cosa resta di un anno di cinema al di là degli Oscar)

[maurizio milo]

Ogni anno si chiude con un bilancio. Il 2003 a conti fatti è stata una buona annata per il Cinema. Quanto segue è una piccola guida ai migliori film dell'annata appena trascorsa.
L'evento cinematografico d'apertura è stato senza dubbio Gangs of New York del maestro Martin Sorsese. Un film crudo, certamente non un capolavoro come annunciato, ma pur

sempre un affresco sulla sanguinaria ascita della più grande "democrazia". Un delitto negargli un Oscar. Gennaio è sempre il mese della rinascita di un regista popolare che ha spesso diviso la critica. Esce infatti Catch me, if you can (Prova a prendermi) di Steven Spielberg, un film ben diretto, ben recitato e con una storia accattivante. Ed è subito successo. Direttamente dagli incassi stratosferici americani arriva a febbraio sugli schermi nostrani The Ring con la regia di Gore Verbinski. Il film, in verità appena sufficiente, ha il merito (?) di rilanciare il genere horror. Tra febbraio e marzo il cinema italiano spara le sue migliori cartucce (almeno a livello intellettual/nazional popolare): Muccino, Ozpetec e Salvatores. Tra questi spicca lo splendido film "di formazione" Io non ho paura uno dei rari esempi di trasposizione cinematografica che non perde il confronto con l'originale letterario. Citazione d'obbligo per il bravissimo (dodicenne) Francesco Cristiano. Marzo è anche il mese di Chicago di Bob Marshall, dominatore degli Oscar 2002. E' in film come questo che ci rendiamo conto che gli americani lo spettacolo lo sanno fare. Aprile è il mese in cui esce In this world (Cose di questo mondo) di Michael Winterbottom, vincitore del Festival di Berlino 2002. Un piccolo film da scoprire, ironico e triste. Da segnalare anche l'ottimo esordio (?) alla regia (?) di George Clooney con Confession of Dangerous Mind (Confessioni di una mente pericolosa), film che funziona alla grande nel suo insieme (vi chiederete allora il perché dei (?). Quanto Clooney e quanto Sodebergh c'è?). Ma il capolavoro è The 25th hour (La 25a ora) il miglior film di Spike Lee. La storia di Monty è di quelle che penetrano e feriscono. Primo film che mostra le ferite di una New York post 11 settembre. Ergastolo a chi non lo ha nemmeno candidato agli Oscar! Maggio è il mese di Cannes, secondo molti la peggior selezione da molti anni a questa parte. A difesa c'è da dire che all'interno della manifestazione ci sono dei momenti di grande Cinema. C'è la vendicativa Grace di Dogville di Lars Von Trier, ci sono i giovani raccontati con asettica (falsa) indifferenza di Elephant di Gus Van Sant (miglior film e regia), c'è La meglio gioventù italiana di Marco Tullio Giordana, c'è la dolce nonna alla ricerca della triste faccia del nipote in Les triplettes de Belleville (Appuntamento a Belleville) e c'è Arcand che continua a raccontarci il declino dell'impero americano. Ma c'è un film in particolare che parla di dolore, amicizia e vendetta in un'altra America. Ci siamo persi anche noi nel meraviglioso Mystic River di Clint Eastwood.
Giustamente premiati con gli Oscar gli attori Sean Penn e Tim Robbins. Sempre a maggio escono due grandi film, assolutamente diversi tra loro, passati quasi inosservati sui nostri schermi: il brasiliano Cidade de Deus (City of God - La città di Dio) di Fernando Meirelles e l'americano Punch drunk love (Ubriaco d'amore) di Paul Thomas Anderson. Il primo ha avuto le sue giuste soddisfazioni con la candidatura a tre Oscar nel 2003. Un film tratto da una storia vera, cattivo e narrato con grande stile. Il secondo è una commedia romantica atipica che servirà per conoscere meglio, se ancora ce ne fosse bisogno, un grande autore. Tralasciando (colpevolmente?) giugno e luglio arriviamo ad agosto e, più precisamente alla Mostra del Cinema di Venezia. Un Festival tutto sommato positivo, probabilmente con meno capolavori di Cannes ma sicuramente con un livello medio più alto. Dalla pattuglia italiana si stagliano Buongiorno notte, diversa presa di coscienza dell'ex-sessantottino Marco Bellocchio (molto più incisivo del soft-core The Dreamers di Bernardo Bertolucci) e Il ritorno di Cagliostro dei grandi cineasti siciliani Daniele Ciprì e Franco Maresco. Un ritratto sincero, un po' spensierato un po' malinconico, sulla nascita, "crescita" e morte della casa di produzione cinematografica Trinacria. Nel cast Robert "Nightmare" Englund. Per il resto, oltre al vincitore, il russo Vosvrascenie (Il ritorno), bella opera prima di Andrey Zvyagintsev, segnialiamo soprattutto Zatoichi di Takeshi Kitano, ennesimo splendido film dell'attore/regista /sceneggiatore giapponese, e la spassosissima black comedy, firmata dai fratelli Cohen, Intolerable Cruelty (ahimè, Prima ti sposo poi ti rovino) con un grande Clooney e una bellissima Zeta Jones. Capitolo a parte va dedicato a Lost In Translation, seconda opera di Sophia Coppola. Un film delicato con un grande Bill Murray e una bravissima Scarlett Johansson. Con un finale atipico per un cinema che ormai tende a spiegare anche l'evidenza. Settembre è il mese del blockbuster Pirates of the Caribbean: the curse of the Black Pearl (La maledizione della prima luna), secondo successo in un anno per il nuovo Spielberg Gore Verbinski. E Johnny Depp prende per mano (e salva) una pellicola altrimenti insufficiente. Ad ottobre, sempre in tema piratesco ma con tutt'altre finalità, esce Cantando dietro i paraventi, capolavoro di saggezza del maestro Ermanno Olmi. Un film, caso raro, sul desiderio di vendetta che sa trasformarsi in perdono. Una gioia per i suoi fans la presenza di uno spagnoleggiante Bud Spancer. Ma ottobre è soprattutto un mese di attesa. Infatti novembre porta con se l'attesissimo ritorno nelle sale del quarto film (o meglio del terzo film e mezzo) di quel genio assoluto di Quentin Tarantino, Kill Bill vol.1. Diretto con grande sapienza, fotografato divinamente, con protagonista Uma Thurman, in forma strepitosa e bella come non mai. Ma la caratteristica fondamentale della violenza pulp tarantiniana è la grandissima ironia con cui viene versato ogni millimetro di sangue. Con il rigore di chi i film li sa fare Tarantino rende omaggio a tutta una serie di B-movie besati sulle arti marziali. I combattimenti allora diventano delle coreografie, i dettagli parte fondamentale della storia. Le musiche, le scenografie: tutto è esteticamente perfetto. Il capolavoro del 2003. Se si potesse eliminare dicembre e i cosidetti cinepanettoni probabilmente chi al cinema ci va abitualmente, e non solo per le feste comandate, sarebbe molto più contento. Dalla massa emergono però due buoni film: Love Actually di Richard Curtis, commedia inglese sull'amore e i suoi intrecci, con alcuni momenti assolutamente esileranti, e Finding Nemo (Alla ricerca di Nemo), viaggio iniziatico alla vita di un pesciolino coraggioso. Una graziosa favola che segna purtroppo la fine della collaborazione Disney/Pixar. Tutto il resto è noia, anche se siamo più che contenti che a sbancare il botteghino natalizio sia stato il pur sempre dignitoso Pieraccioni e non la volgarissima e penosa banda di Neri Parenti.