anno 1
numero 0
marzo 2004

A volte ritornano. Poetica e produzione del remake a Hollywood

[giuseppe panella]

"Inventare, a Hollywood come ovunque, voleva dire ricordare. Rammentarsi di una cosa era inventarla. I film più originali son quelli meglio 'rubati'".

Questa dichiarazione - sicuramente degna di essere meditata e da approfondire successivamente in chiave storica ed estetica - mi sembra assai importante. Il fatto che a

rilasciarla sia stato Edgar G. Ulmer, uno dei tanti registi di origine tedesca approdati ad Hollywood in seguito al nazismo ormai imperante in Germania e poi finito a lavorare nell'industria cinematografica americana (come Billy Wilder, Robert Siodmak, Fred Zinnemann e Douglas Sirk con i primi tre dei quali condivise l'impresa del celebre film Menschen am Sonntag del 1929) è forse ancora più significativo.
Se Ulmer (non a caso autore di importanti film di serie B di grande impatto popolare e dotato di una sua capacità e vena inventiva non banale) fa questa dichiarazione, vuol dire che a Hollywood la tendenza a recuperare dai film del passato la materia per i film del presente non è soltanto una moda dell'ultimo momento. Si tratta, in realtà, di una pratica produttiva vigente fin dalle origini che mirava a favorire e a privilegiare ciò che era già stato verificato dal mercato.
E' fin dal principio, infatti, che a Hollywood la logica della ripetizione si impone su quella del totalmente nuovo e dell'originalità: il già visto (e conseguentemente il già approvato dal pubblico) è preferito al nuovo in una logica che privilegia l'industria rispetto all'innovazione linguistica del mezzo espressivo.
Nella logica del remake il già detto e il già portato sullo schermo, tuttavia, non sono una pura e semplice ripetizione (o almeno non dovrebbero esserlo) nel momento in cui diventano qualcos'altro in altro tempo e in altro luogo: sono uno sviluppo (o almeno dovrebbero e vorrebbero esserlo) di quel determinato soggetto o tema o spunto narrativo.
Il caso di Douglas Sirk che realizza proprio i suoi film migliori a partire da film (spesso molto simili ma assai meno lavorati) di Joseph M. Stahl è emblematico dello statuto mobile del remake come genere: Sirk utilizza il testo narrativo dei film di Stahl come un canovaccio sul quale intesse un disegno completamente nuovo che va al di là della pura logica del melodramma tradizionale.
Si prenda, ad es., La magnifica ossessione (The Magnificent Obsession del 1953 - terzo dei film di Sirk di quell'anno) e remake di Al di là delle tenebre (uscito con lo stesso titolo originale nel 1935 per la regia del mestierante Stahl): in esso ciò che nel film precedente era legato ad una dimensione realistica che rendeva la vicenda (tratta non a caso dal romanzo omonimo di un pastore luterano, Lloyd C. Douglas che intendeva magnificare così il ruolo della Provvidenza divina nella vita degli uomini) assolutamente enfatica e del tutto impraticabile se non in alcuni momenti umoristici, Sirk sceglie la strada della stilizzazione altrettanto assoluta e finge di credere alla possibilità della storia che sta girando. Trasforma una vicenda misticamente assurda in un esercizio di stile e fa di un melodramma di taglio religioso un film quasi surreale.
Per questo motivo, la vicenda del milionario Merrick che, salvato da un medico che muore per essersi troppo sforzato durante l'intervento che lo salva, cerca di aiutarne la vedova, le procura involontariamente la cecità e per questo motivo diventa un medico straordinario e la opera, alla fine del film, rendendole ciò che aveva perduto per colpa sua, diventa un trionfo della visibilità cinematografica e riscatta una storia impossibile con una regia attenta ad esplorare ciò che apparentemente il cinema sembra negato a conoscere e visitare: il buio, la cecità, l'assenza di visione.
Come ha scritto Alberto Castellano nel suo Castoro Cinema dedicato a Sirk e al suo cinema:

"L'essenza allegorico-religiosa del film e l'apoteosi del processo catartico trovano un'efficace sintesi nella sequenza dell'operazione. […] Lo specchio rituale è sostituito dal vetro, che può moltiplicare riflessi e simboli. Con questo film Sirk riesce a fornire di logica estetica la vecchia soap-opera hollywoodiana, rendendo tangibile il suo stile visivo (in netto contrasto con i dilemmi astratti dei personaggi) ed enfatizzando con gusto (le musiche di Beethoven) stati d'animo comuni e sentimenti ricorrenti" (p. 68).

Analoghe evidenze e passaggi di stile registico e attoriale illumineranno gli altri tre remake firmati da Sirk: nel 1955 girerà Quella che avrei dovuto sposare (There's Always Tomorrow dal film omonimo diretto da Edward Sloman nel 1934), nel 1956 Interludio (Interlude, girato da Stahl nel 1939 e conosciuto in Italia come Vigilia d'amore) e nel 1958 Lo specchio della vita (Imitation of Life) che era già stato un film di John M. Stahl del 1934.
In esse Sirk modifica le impostazioni precedenti della storia e privilegia la dimensione individuale e soggettiva del racconto che sta filmando. A differenza di Stahl, ad es., che aveva dato una dimensione fortemente ottimistica e "progressiva" al film (il cui scopo era quello di mostrare come in America, negli anni Trenta del New Deal rooseveltiano, ognuno poteva raggiungere il successo tramite sacrifici personali e determinazione a sfondare), Sirk preferisce ripiegare sull'ambiguità presente nella vicenda e ne accentua i caratteri (uno dei personaggi è una meticcia e vive nella "terra di mezzo" tra bianchi e neri).
"Meditazione estetica e filosofica conclusiva, film sulle distanze (tra la gente, tra la percezione e il mondo, tra l'arte e la vita), Imitation of Life è il melodramma sirkiano più denso di significati metafilmici. Opera imperniata sulle imitazioni e quindi sulla simulazione, si articola su due piani diegetici messi in cortocircuito" (Alberto Castellano, Douglas Sirk, Firenze, La Nuova Italia, 1987, p. 91).
In questa mia sommaria esposizione, Sirk è stato privilegiato proprio in quanto maestro di remake, dato che è forse stato il regista che ha fatto di questa categoria estetica il vessillo di battaglia della propria poetica di regista.
Diversamente da Sirk (ma si potrebbe citare anche Don Siegel come autore di interessanti recuperi di soggetti e sceneggiature del passato - come Agguato nei Carabi del 1958, brillante replica di Acque del Sud (To Have and To Have Not di Howard Hawks del 1944) che si è rivelato in questo modo autore di film che "ripetevano" altri film ma con un taglio assolutamente personale, che cosa succede oggi di fronte ai numerosi remake che Hollywood propone spesso in mancanza di meglio?
Riservandomi di tornare sull'argomento in una prossima puntata, va detto che la differenza maggiore tra film del passato e loro "rifacimento" contemporaneo è sicuramente legato alla loro diversità di realizzazione tecnologica.
Il remake della postmodernità ha come propria giustificazione non la storia che racconta ma la dimensione tecnologica che gli corrisponde. Storie già girate molte altre volte vengono riproposte alla luce delle possibilità visive presenti nella tecnologia digitale. Il tutto della visione del digitale allarga il campo del visibile limitato dalla pellicola tradizionale e permette di mostrare ciò che prima non si poteva. Ma se si limiterà a questo (a mostrare la realtà della potenza della tecnologia) il digitale non comporterà nessun salto di qualità estetica così come aveva promesso.
Rigirare con l'ausilio del digitale The Time Machine (come hanno fatto assai male Simon Wells e Gore Verbinski nel 2001) o Rollerball (replicato con esiti assai dubbi dal pur valido John McTiernan) o rifare La caduta dell'Impero Romano di Anthony Mann con il diverso titolo de Il Gladiatore (come ha fatto Ridley Scott nel 2000) serve a rilanciare le possibilità estetiche dello strumento cinematografico o sono soltanto l'ennesimo trionfo della macchina del cinema come "fabbrica dei sogni " e strumento per realizzare enormi guadagni?
Se il remake viene incontro alle esigenze di un pubblico che si ritrova in quello che ha visto (in realtà perché lo aveva già veduto in un'altra occasione), è anche vero che la sua realizzazione ha una funzione effettiva solo se innova il codice linguistico del cinema (e non ne ripropone - come sta accadendo piattamente ora - stilemi e pratiche con il solo ausilio di una tecnologia che, per quanto nuova, riempie lo schermo soltanto di se stessa).
Il remake o sarà un film diverso dall'originale o ne sarà una copia che si rivelerà inutile (anche ai fini del maggior guadagno al botteghino).