Il pittore
Paul Gauguin era un uomo attento e scrupoloso tanto da non
scartare nulla della sua epoca. Analizzando chirurgicamente
gli artisti dei suoi tempi il francese passa poi al suo lavoro,
particolarmente alternativo rispetto alla massa. Diventi critico
e a tratti cattivo con i veri critici, gli stessi che lo hanno
stroncato e deriso.
Chi scrive si trova in imbarazzo ad ammettere che molte sue
affermazioni toccano le corde dell’anima e fanno discutere
ancora oggi. “L’artista deve guardare all’avvenire,
mentre il critico cosiddetto colto è unicamente a conoscenza
del passato. E del passato cosa conosce se non un catalogo
di nomi?”.
Gauguin è l’arte futura, la nuova scintilla che
infiammerà il domani, il critico è il passato,
il grande inquisitore che stronca il progresso artistico.
È tutto si riduce ad una sequenza inanimata di nomi.
La fine dell’arte insomma.
Il critico è un saccente uomo che non ama e che conosce
ogni cosa (o per lo meno, lui crede di sapere). Sagace, cinico,
si avverte del rancore nelle sue di Paul, un bisogno di togliersi
qualche sassolino dalle scarpe. Ma non si ferma qui. Cita
nomi, personaggi, amici e nemici, non è una “zuppa”
in cui tutto si mischia ma un piatto freddo dove gli elementi
sono ben distinguibili.
Non vi sono modelli unici ed universali, pittori di riferimento,
alle soglie del novecento ogni strada deve essere battute
ed intrapresa. L’importante è la libertà
d’espressione senza critica futile e fustigatrice. Una
pittura semplice e spontanea, aggraziata un poco primitiva
come lo erano le donne polinesiane di Gauguin.
Le parole dell’artista francese risentono di una certa
filosofia di vita, di una ricerca personale che ben s’inquadra
nella sua esigenza di distaccarsi da un mondo europeo troppo
complesso nei suoi limiti.
Barriere quest’ultime nate da “un’immensa
mediocrità” (frutto anche di cecità intellettuale)
risultato di una scuola incapace di fornire una didattica
adeguata alla formazione delle nuove coscienze critiche del
domani. Gauguin non vuole nel suo libro ergersi a paladino
della pittura ma intende semplicemente assicurarsi che vi
sia una speranza per il futuro, che la sperimentazione non
muoia con la fine delle sua epoca. Paul non è un semplice
imbrattatele, come vorrebbe farci pensare ma a mio avviso
è un fine letterato dotato di ottima tecnica ed un
libero pensatore che “profuma” di filosofo. Una
filosofia non solo pittorica ma soprattutto esistenziale.
L’elenco finale di artisti in chiusura del libro sono
un omaggio ai citati ed uno sgarbo senza scuse tardive agli
esclusi (che c’è da scommettere, si sono risentiti
del torto).
Gauguin non amava le vie di mezzo, perché nella sua
vita o si è critico o artista, la via di mezzo non
può esistere.
[alessio
moitre ]
|
|
|
Paul
nasce a Parigi il 7 giugno del 1848, alla giovane età
di diciassette anni, causa una bocciatura all’
Ecole Navale si imbarca a Le Havre e compie un viaggio
di quattro mesi.
Nel 1867 muore la madre, figura emblematica per Paul.
Entra in contatto con Camille Pisarro e frequenta l’accademia
Colarossi, siamo nel 1874.
Nel 1879 comincia a frequentare il circolo degli impressionisti,
dove spiccano i nomi di Manet, Degase e Renoir.
Agli inizi dell’ottocento comincia frequentare
Van Gogh e comincia a sognare la Martinica e la Polinesia.
Nel 1890 parte per Tahiti che lo strega subito con i
suoi colori e le sue favole, il suo pot-impressionismo
sboccia in tutta la sua bellezza.
Causa vari problemi fisici ed economici torna in Francia
ma già nel 1895 torna nella sua amata Polinesia,
anche se è di salute precaria. Dopo varie traversie
burocratiche e sanitarie Paul si spegne nel 1903 nell’isola
di Hiva Oa. Tre anni più tardi vi sarà
la sua prima retrospettiva |
|