L’amore
è stato decantato da centinaia di poeti in tutte le epoche
e nel tempo ha sempre conservato un ineguagliabile potere: quello
di avvicinare gli uomini, di accomunarli sotto un unico sentire.
La delusione, il tradimento, il sotterfugio, la follia del desiderio
sono temi che ritornano sempre nuovi nelle produzioni letterarie
che hanno fatto la storia. Ma, risalendo indietro nel tempo,
fin dove giunge questo magico racconto dell’amore? Cosa
leggevano e scrivevano gli antichi riguardo questo tema universale?
L’uomo moderno è figlio di coppie “famose”,
segnate da un destino fatale: basti citare Romeo e Giulietta,
Tristano e Isotta, Ginevra e Lancillotto, perché nella
mente di ciascuno si apra tutto un mondo in cui romanticismo,
passione e tragedia si incalzano a vicenda, facendoci sentire
simili seppur così lontani dai nostri protagonisti. Nell’antichità
accadeva la medesima cosa, solo che a far sognare gli antichi
greci e romani erano le suggestive vicende di Amore e Psiche,
Apollo e Dafne, Enea e Didone, giunte fino a noi attraverso
i racconti di Ovidio, Apuleio, Virgilio ed ovviamente Omero,
il primo poeta dell’antichità classica. Antiche
storie d’amore non è però un compendio,
è piuttosto un invito a penetrare in quel mondo popolato
da dèi e donne bellissime, in cui la magia scaturisce
da forze oscure, quelle stesse che nascono dall’umano
bisogno di dare un senso alla vita, alla morte ed all’amore.
Così Dafne si trasforma in alloro per sfuggire all’amante
non corrisposto nei bellissimi versi di Ovidio: “[…]
si cinsero i molli precordi di scorza sottile/ fronde divenner
le chiome, le braccia si fecero rami / ed alle pigre radici
aderirono i piè tanto svelti; / vetta divenne la faccia
e rimasele solo il nitore. / Febo anche l’albero adora
e, poggiando la destra sul tronco, / sente che palpita il petto
pur sotto la nuova corteccia. / Come se fossero membra, ne stringe
le rame, le abbraccia, / l’albero bacia, ma l’albero
i baci disdegna tuttora.”
Siamo nel mito, in quel confine fantastico in cui l’uomo
sfida la morte per ritrovare la giovane sposa (Orfeo e Euridice);
in cui due amanti si tolgono reciprocamente la vita come in
una tragedia di Shakespeare (Piramo e Tisbe); un mondo in cui
infine l’amore può condurre alla follia della vendetta
(Medea e Giasone). Sono i versi della poetessa Saffo, nella
sua invocazione “Ad Afrodite”, ad aprire questa
breve raccolta di storie. Anacleto Postiglione, il curatore
del testo, propone i racconti in una prosa semplice che, pur
nell’inevitabile perdita dell’antico verso, rimane
comunque fedele ai testi senza nulla perdere dell’intensità
delle opere originali. Accompagnati da un antefatto ed un epilogo,
gli estratti che compongono il testo sono ad ogni modo un invito
ad approfondire gli stessi racconti nelle opere originali degli
autori classici. Interessanti a questo proposito le “variazioni
sul tema” che il curatore cita alla fine di ogni storia,
da prendere in considerazione come punti di approfondimento.
Per terminare con le parole di Postiglione: “Al di
là del tempo, che tutto trasforma e distrugge, gli antichi
e i moderni si incontrano in ciò che è universalmente
umano, nel mondo magico dell’amore e dell’arte”.
[giulia
rastelli]