“Ma è proprio per questo
che avete costruito le torri, no? Non sono forse state costruite
come fantasie di ricchezza e potere destinate un giorno a trasformarsi
in fantasie di distruzione?”
Don DeLillo
conosce e interpreta la società americana come pochi
altri scrittori contemporanei. Già in Underworld
ci aveva regalato un quadro degli Stati Uniti attraverso i loro
ultimi cinquant’anni di storia e in Americana
ci mostrava il cuore dell’America attraverso il viaggio
su un camper di tre inverosimili compagni.
Oggi con L’uomo che cade
racconta la tragedia delle Twins Towers e lo fa però
in modo tutt’altro che originale. L’argomento vista
la sua potenza e importanza sicuramente può e anzi deve
essere narrato da più voci, ma ognuna di queste dovrebbe
recare originalità e forza narrativa. Così ha
fatto Safran Foer, narrandoci la tragedia attraverso gli occhi
di un bambino. Meno convincente ma comunque godibile la prova
di Ken Kalfus nel suo “Uno stato particolare di disordine”
dove una coppia di separati trova di nuovo l’amore e l’equilibrio
dopo il disastro.
Da qui parte la storia di Delillo. Keith, un uomo che lavora
nella torre nord, ormai separato e non più innamorato
della moglie Lianne, dopo essere sopravvissuto al crollo, barcollando,
in stato confusionale, con i vetri tra i capelli e addosso tracce
di sangue di un collega ormai inghiottito dalle macerie, ritorna
a casa e lì pare voler restare anche se non ce la fa
a non cedere alle lusinghe di Florence, “una donna di
colore dalla pelle chiara, più o meno sua coetanea, e
con un’aria gentile, e abbastanza robusta” che come
lui è sopravvissuta alla tragedia. Catarsi carnale della
comune esperienza devastante.
Lianne è una quarantenne madre di un bambino simpatico
che parla a monosillabi e che dopo l’undici settembre
guarda il cielo con un binocolo perché nella sua fantasia
Bin Laden,da lui e i suoi amichetti ribattezzato Bill Lawton,
deve ancora arrivare dal cielo.
Ma le storie più interessanti che Delillo ci propone
sono parallele e anche scollegate alla narrazione principale.
Una di queste ci parla della madre di Lianne, Nina, una sofisticata
anziana professoressa da vent’anni amante di un certo
Martin, un uomo dal misterioso passato e dell’ancora più
nebuloso presente, del quale non si è certi neanche del
nome, sempre in giro a prendere aerei. La loro storia d’amore
è la più poetica, il mistero che avvolge l’attività
del vecchio amante è il più avvincente e la malattia
dell’anziana signora ancora più commovente delle
pagine relative allo schianto.
L’altra invece è quella dei terroristi, in pochissime
pagine l’autore ci descrive le giornate dei kamikaze,
facendoci a volte venire il dubbio che forse anche loro a tratti
avessero dei sentimenti. Peccato che queste due vicende non
siano state espresse in maniera più corposa. La storia
principale infatti di Keith e Lianne è abbastanza banale
e in lunghi tratti molto noiosa.
L’Uomo che cade, un performer di New York, che amava gettarsi
dai grattacieli solo con una rudimentale imbracatura come protezione,
oltre a dare il titolo al romanzo, ci porge lo spunto per una
riflessione sulla nostra società contemporanea, in bilico,
che si aggrappa a poche e labili certezze.
Anche se il plot narrativo è debole il libro viene comunque
salvato dallo stile narrativo di Delillo, elegante e raffinato.
Inoltre il romanzo è molto compatto, non c’è
nulla fuori posto, ogni comportamento, oggetto, personaggio,
colore all’inizio viene quasi accennato, poi raccontato
e alla fine spiegato fino al suo esaurimento.
[francesca
bompadre]
|
|
|
Donald
Richard DeLillo, detto Don è nato a New York il
20 novembre del 1936 da genitori italiani emigrati subito
dopo la prima guerra mondiale da un paesino in provincia
di Campobasso, Montagano.
Nato e cresciuto nel Bronx, allora abitato in gran parte
da italoamericani, frequenta scuole cattoliche fino agli
studi universitari; l'influenza degli studi cattolici
traspare in molti dei suoi scritti e principalmente in
Underworld (1997).
Finiti gli studi, inizia a lavorare come pubblicitario
e ad interessarsi di arte e musica, particolarmente al
jazz e alla scrittura. Nel 1971 pubblica il suo primo
romanzo, Americana, tradotto
in italiano solo nel 2000. Nel 1972 pubblica End
Zone, non ancora tradotto in italiano, e l’anno
successivo Great Jones Street
(tradotto in italiano nel 1997) che narra di un artista
rock ritiratosi a vivere in un ambiente spoglio.
Alla fine degli anni Settanta intraprende un lungo viaggio
formativo in Medio Oriente e in India, successivamente
si trasferisce in Grecia dove vive per tre anni e scrive
il suo ottavo romanzo, I nomi,
che ha un buon successo come “thriller psicologico”.
Torna quindi negli Stati Uniti dove scrive White
Noise con cui, nel 1985, vince il National Book
Award.
Ascritto al cosiddetto postmodernismo insieme a Thomas
Pynchon e Paul Auster.
Osservatore acuto della società americana nel passaggio
di millennio e del suo immaginario collettivo, descrive
la realtà che lo circonda con una scrittura in
cui racconta la società attraverso i media, la
religiosità, i riti profani e le liturgie della
politica comprese di intrighi tesi alla conquista del
potere. |
|