"…quelle
stelle che nel Nord, nelle notti chiare, sono lacrime
ghiacciate tra miliardi di altre, la via lattea di gennaio come
caramelle d'argento, veli di gelo nell'immobilità, che
lampeggiano,
pulsando al ritmo lento del tempo e del sangue dell'universo".
Intitolato originariamente Springtime Mary
e pubblicato come Maggie Cassidy,
il libro prende vita agli inizi del 1953 e viene pubblicato solo
nel 1959. Scritto nell’arco di due mesi, questo romanzo
è parte integrante della cosiddetta Leggenda
di Duluoz, il progetto letterario che nella visione di
Kerouac doveva comprendere tutta la sua vita. Modello incontrastato
è Proust: come ne La ricerca del
tempo perduto, Kerouac vuole dividere in più libri
il racconto autobiografico della propria esistenza, perché
come egli stesso ha spiegato: “devo dividere la Leggenda
di Duluoz in parti cronologiche […] non posso riversare
tutto quanto in un unico stampo, se lo facessi otterrei una grossa
palla rotonda invece di una serie di figure”. Ed è
strano pensare come queste figure siano state composte in tempi
cronologicamente differenti, come se Kerouac a tratti affondasse
le unghie nella carne della propria infanzia o come se non riuscisse
ad allontanarsene del tutto. Maggie Cassidy
è in ordine il terzo romanzo della sua autobiografia, ma
precede la composizione di Visioni di Gerard,
il libro in cui sono raccontati i primissimi ricordi della sua
vita legati alla figura del fratello. Entrambi i romanzi sono
ambientati a Lowell ma in tempi diversi e lontani. In Maggie
Cassidy Kerouac affonda nel suo passato con tutta la tristezza
e la disillusione di un uomo adulto che sente di aver perduto
l'innocenza che lo legava all'infanzia della propria vita. Come
già in Dottor Sax, c'è
un ritorno a quel mondo intatto della Lowell natale, agli amici,
alla famiglia, alle gare di atletica, alla neve sulle strade,
alla felice ed inconsapevole adolescenza. E' un romanzo visionario,
prettamente onirico, forse molto più vicino a Visioni
di Gerard che non a Maggie Cassidy.
Dei tre romanzi che fanno riferimento agli anni della sua innocente
spensieratezza (“[…] non sarai mai felice come sei
ora nella tua ovattata innocente immortale notte divoratrice di
libri dell’infanzia”), Maggie
Cassidy è la rottura, la crepa che finisce per frantumare
la diga delle piccole certezze e delle innumerevoli aspettative.
Tutti i suoi ricordi sembrano riunirsi qui in una sorta di triste
commiato, un congedo dal sapore dolciastro che lo coglie impreparato
come una festa a sorpresa, quella appunto descritta verso la fine
del romanzo. I luoghi, le persone, il rumore del fiume, il cielo
stellato: ogni cosa torna vivida eppure sfocata, ingigantita dalla
forza del ricordo che tenta di aggrapparsi al suo passato. Scritto
nella tranquillità della sua camera a Richmond Hill sotto
l’effetto della benzedrina (come molti altri dei suoi romanzi)
Kerouac ritorna agli ultimi anni di liceo, quando era ancora un
ragazzo di diciassette anni alle prese con l'amore e le gelosie
di due ragazze tra loro molto diverse: la dolce Maggie e la spregiudicata
Pauline. Ed è sullo sfondo di queste passioni giovanili
che Kerouac penetra all'interno di un mondo ormai prossimo al
crollo. Siamo infatti nel 1939, un anno prima della sua partenza
per New York dove comincerà gli studi universitari alla
Columbia University, studi che abbandonerà presto per seguire
un'altra e ben nota strada. L'intero romanzo è attraversato
da quelle tipiche sensazioni di perdita e malinconia che accompagnano
la fine di ogni cosa, ma allo stesso tempo anche di forte aspettativa
per un futuro ancora acerbo pronto ad esplodere e maturare. Kerouac
si abbandona spesso a flussi di pensiero confusi che trovano un
ordine solo nell'intrecciata trama dei suoi ricordi. Un libro
che è vera e propria poesia, ricco di immagini suggestive
dietro le quali si celano i grandi temi esistenziali sempre presenti
nell'intera produzione letteraria di Kerouac: la vita, la morte,
l'amore, la strada. Come in tutti i suoi romanzi, la narrazione
dei fatti è sempre un punto di partenza per una riflessione
più profonda, a tratti mistica, sul significato della vita
e del dolore. [giulia
rastelli] |