“Davvero
in quel momento mi sembrò di essere altrove, di aver raggiunto
la meta del mio viaggio. Da lì non volevo più andarmene,
ci ero già stato centinaia di anni prima, ma lo avevo dimenticato,
ed ecco che ora tutto ritornava in me…”
Elias Canetti ha raccolto nelle pagine di questo libro le impressioni
di un suo viaggio in Marocco intrapreso nel 1954 in un momento
di sosta della sua produzione letteraria. Da scrittore di grande
spessore ci da una visione quasi intima del rapporto che si instaura
fra il viaggiatore e la realtà avvincente di una città
multiforme come Marrakech.
Senza indugiare nella banalità del turista meravigliato,
descrive la sua relazione personale con la città ed i suoi
ambienti, entrando nella sfera delle emozioni suscitate dal dialogo
con la gente, dal confronto con un mondo differente che ha una
sua bellezza, una sua dignità ed un suo equilibrio.
Nel titolo si parla di voci più che di immagini, ma quello
che lo scrittore ci restituisce è una visione di un paese
vibrante di luce, di suoni e di colori, complesso ed affascinante.
Sono dei fotogrammi della vita di una città bellissima,
il simbolo di un magreb avvincente, chiusa nelle sue mura, immersa
nella sua storia, ricca dei profumi e degli aromi dei suoi suk
dove si vendono le più incredibili mercanzie, dalle stoffe
alle spezie, il quartiere ebraico: la mellah dove i bambini in
un mondo arabo leggono perfettamente l’ebraico. Una città
popolata dai mercanti di cammelli, dalle donne velate e affascinanti,
dai mendicanti, dai saltimbanchi e dai venditori; una popolazione
semplice e viva, dignitosa e fiera ma soprattutto non diversa.
Le curiosità del Canetti-viaggiatore nel racconto si sommano
alle sue emozioni di uomo europeo nel sentirsi “a casa”
nonostante la distanza e le differenze in quell’Africa sconosciuta
ma non estranea, anzi intimamente così vicina da diventare
alla fine una parte di se stesso, qualcosa da portare con sé
al ritorno, qualcosa che alla fine diventa parte di noi stessi,
forse un posto già conosciuto. È probabilmente in
questo “sentirsi a casa” che va ricercata l’origine
di ciò che noi europei chiamiamo “mal d’Africa”?
Anche se il libro è stato scritto più di cinquanta
anni fa, offre un ritratto ancora oggi molto vivo di Marrakech
e rimane una guida fedele per ogni viaggiatore o lettore attento.
Lo stile del racconto è rapido, per offrire l’immediatezza
delle immagini e ci restituisce un Canetti insolito, se non nello
stile almeno nel soggetto. [simonetta
cestarelli] |
“Quando
ci sentiamo sopraffati dal fuggire dall’esperienza
ci rivolgiamo a un’immagine: ci teniamo stretti
a ciò che non muta e così riusciamo a far
affiorare ciò che muta perennemente.”
Elias
Canetti nasce il 25 luglio 1905 a Ruscuk, in Bulgaria,
da una famiglia ebrea sefardita che parla lo spagnolo.
Dai genitori impara lo spagnolo antico ed il bulgaro,
si trasferisce in Inghilterra, a Manchester, nel 1911
dove impara l’inglese. Successivamente alla morte
del padre, viaggia con la madre a Vienna, Zurigo e Francoforte
dove impara il tedesco, lingua che definirà più
tardi lingua salvata ed alla quale rimarrà fedele
in tutta la sua produzione letteraria. Studia chimica
laureandosi, ma si dedica alla letteratura, pubblicando,
nel 1932, una commedia violentemente caricaturale, Nozze.
Nel 1935 esce il suo primo ed unico romanzo, Die
Blendung, tradotto in italiano per volere dello
stesso Canetti, come Auto da fé,
incentrato sulla solitudine nella società contemporanea,
in cui il protagonista, un intellettuale “tutto
testa e niente corpo” perisce nel rogo dei suoi
centomila volumi. Di notevole spessore è Massa
e potere (1960), saggio sulla psicologia del
controllo sociale, l'autobiografia, divisa nei volumi
La lingua salvata (1977),
Il frutto del fuoco (1980)
e Il gioco degli occhi
(1985). Vince il premio Nobel per la letteratura nel
1981. Decide di tornare a vivere a Zurigo, il paradiso
perduto della sua adolescenza, in cui morirà
il 14 agosto 1994.
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