“..Parlo
del colore dei cipressi, dei boschi bui nelle valli, delle abitazioni
di legno trascurate, sgombrate e abbandonate, delle barche arrugginite
e malmesse, della poesia delle navi e delle ville dello stretto
che soltanto chi ha passato la vita su queste rive può
capire; parlo del sapore della vita tra le rovine di una civiltà
una volta grande, maestosa e originale, della voglia di un bambino,
che non bada affatto alla storia e alle epoche, di essere felice,
di divertirsi, di comprendere questo mondo, e delle indecisioni
e dei dolori di uno scrittore ormai cinquantenne, dei desideri
che lui chiama vita e delle sue esperienze…”
Bella e struggente la descrizione del Bosforo che incontriamo
in Istanbul di Orhan Pamuk, scrittore
turco celebre forse più all’estero che in patria,
recentemente insignito del premio Nobel per la letteratura,
premio assegnato non solo in relazione al suo impegno come scrittore
e uomo di cultura, ma anche per l’impegno dimostrato nel
“ricercare l'anima malinconica della sua città
natale, scoprendo nuovi simboli per rappresentare scontri e
legami fra diverse culture”. Orhan Pamuk in questo
romanzo ripercorre la sua vita: figlio di una famiglia benestante,
trascorre un’infanzia serena e piena di affetti, seguita
da una adolescenza ricca di letture ed al primo approccio alla
pittura. Racconta degli affetti della famiglia, residente nel
bel Palazzo Pamuk dove tuttora lo scrittore conserva il suo
studio; dei momenti felici, ma anche dei litigi dei genitori.
Il racconto apre poi finestre sul mondo esterno fatto degli
avvenimenti e della storia della città attraverso l’aiuto
dei giornali dell’epoca, per poi ripiegare ancora sulle
vicende personali: i rovesci economici della famiglia ed ancora
l'amore per il mare. Ricche e bellissime le pagine che descrivono
il Bosforo, i sobborghi, la sua vita di bambino sempre in rivalità
con il fratello, la partenza per gli Stati Uniti e la conclusiva
certezza di avere capito che cosa voleva fare della sua vita
e cioè “essere uno scrittore“. L'incedere
della narrazione non ha un filo logico apparente se non quello
dei ricordi che come per tutti seguono le emozioni. L’Istanbul
di Pamuk non è solo uno scenario al racconto, ma diventa
soggetto, si anima di una sua identità e diventa a sua
volta protagonista del libro. Fotografie di Pamuk bambino, della
famiglia, degli interni domestici e fotografie in bianco e nero
della città, prevalentemente scattate durante il periodo
invernale, fanno da supporto visivo alle descrizioni. Istanbul
in bianco e nero, raccontata come un gioco di luci ed ombre
che infondono in chi legge tristezza e malinconia per un passato
glorioso e purtroppo perduto, i cui fasti si riconoscono nelle
rovine, nelle case decrepite che conservano il ricordo di quello
che Istanbul è stata: l'opulenza di un impero che decadendo
non è riuscito a contrapporsi all'inevitabile attacco
della modernizzazione. Qui, come negli altri libri, Pamuk riprende
il tema dell’appartenenza e dell’identità
attraverso la tristezza, “huzun”, una tristezza
che racchiude sia il fascino della città quanto i suoi
limiti, frutto di un impero ottomano tramontato, della conseguente
miseria, del degrado e del il senso di sconfitta. Le descrizioni
di Pamuk trascinano il lettore nei vicoli della città,
in quei luoghi non turistici che pochi visitatori riescono a
cogliere, nel tentativo di ricostruire una Istanbul libera dalla
miseria e dalla tristezza per ridarle quel fascino e quella
languida malinconia che ancora oggi traspaiono dietro l’inevitabile
occidentalizzazione. Come dice lo stesso autore “Tutto
attorno c'è molto rumore, e cemento, dappertutto. Ma
i cambiamenti di superficie non significano niente: a conoscerla
davvero, questa è la Costantinopoli di sempre. Il suo
fascino è intatto”.
[simonetta
cestarelli]
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Orhan
Pamuk nasce il 7 giugno 1952 ad Istanbul, da una famiglia
benestante di alterne fortune. Frequenta il liceo americano
Robert College. Su pressione della famiglia, si iscrive
in seguito alla facoltà di architettura dell'Università
Tecnica di Istanbul, per poi abbandonarla dopo tre anni
per dedicarsi alla letteratura. Si laurea all'Istituto di
Giornalismo dell'Università di Istanbul nel 1977.
Inizia a scrivere con regolarità a partire dal 1974.
Il suo primo romanzo, Oscurità
e luce, condivide il premio letterario Milliyet
1979 con Mehmet Eroglu. Con il secondo romanzo, La
casa del silenzio, vince nel 1984 il Premio Madarali.
L’anno successivo pubblica Il
castello bianco, romanzo storico con il quale vince
l’Independent Award for Foreign Fiction 1990.
Scrive successivamente il romanzo La
nuova vita, che conosce un immediato successo. La
reputazione internazionale di Pamuk cresce, nel 2000, in
seguito alla pubblicazione del romanzo
Il mio nome è rosso che viene tradotto in
ventiquattro lingue e vince, nel 2003, l’International
IMPAC Dublin Literary Award. Il 12 ottobre 2006 viene
insignito del Premio Nobel per la Letteratura,
diventando così il primo turco a ricevere il prestigioso
riconoscimento. |
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