“Per
me scrivere al computer è innaturale. Io uso ancora la
penna. La penna segue il corso del pensiero, che scorre fisicamente
attraverso la mano con una sua armonia. Battere sui tasti del
computer invece è come pensare una parola alla volta, per
me è come parlare in inglese, invece che in italiano, tedesco
o francese, lingue in cui il mio pensiero scorre senza pensare
a quello che dirò fra poco”. Così parla
Claudio Magris del suo modo di scrivere in una recente intervista
ed in queste poche parole si può intuire il rapporto che
l’autore ha con lo scrivere e con il raccontare i suoi viaggi.
Uscito da poco, questo libro si aggiunge agli altri da lui scritti
come cronache di viaggi, (“Danubio” per citarne uno),
ma a differenza dei precedenti scritti, organizzati nella narrazione
in modo continuo, quest’ultimo è frammentato in un
insieme di racconti che ci accompagnano in una serie di piccoli
viaggi dal 1981 al 2004 tra l’Europa e il resto del mondo.
I racconti, che sono tenuti insieme da una splendida prefazione
di ventotto pagine che è parte integrante ed irrinunciabile
di tutto il libro, li riunisce e li contiene attraverso una riflessione
ragionata dell’autore, e da essa scaturiscono tutte le tematiche
che il viaggiare evoca nell’autore e che lui condivide e
comunica con il lettore. In quelle ventotto pagine c’è
quello che rimane dopo un qualsiasi viaggio, dovunque esso sia:
non le immagini quanto le emozioni, i ricordi le riflessioni,
qualcosa che emerge dallo scrivere e scaturisce da ciò
che si è appena notato. Magris affronta la tematica dello
scrivere e del trasferire le parole sulla carta, il nesso fra
le parole e ciò che si e’ visto. La riflessione dell’autore
si concentra quindi sul viaggio e sul significato del viaggiare,
sul vivere inteso come viaggio continuo, come quello intrapreso
nell’ “Ulisse” di James Joyce, un viaggio per
conoscere se stessi per poi tornare a casa, ma anche un viaggio
in linea retta, una specie di fuga, un essere qualcosa e attraverso
il viaggio diventarne un’altra, nascere come nuova entità
disgregandone una precedente, come in Nietzche.
Magris prende in considerazione le nostre sicurezze che a poco
a poco attraverso il viaggio vengono messe in dubbio: l’appartenenza
ad un posto, la consapevolezza della precarietà, l’incontro
con le frontiere, sia politiche che culturali ed ideologiche,
ma soprattutto frontiere che sbarrano la strada a noi stessi.
Il viaggio dunque come conoscenza di sé, delle nostre paure,
dei nostri limiti; viaggio come comprensione delle nostre culture
e delle culture degli altri; viaggio nello spazio che diventa
inevitabilmente un percorso attraverso il tempo; viaggio come
vagabondaggio e ricerca di libertà; viaggio come confronto
con l’ignoto, l’ignoto oggettivo delle cose non viste
e l’ignoto dentro di noi; viaggio inteso come un prendere
tempo da un vivere incalzante; viaggio come ritorno per apprezzare
ancora di più ciò che abbiamo lasciato. Viaggio
inteso come conoscere e riconoscersi. La lettura di questo libro,
parlando di tanti piccoli possibili viaggi, ci guida attraverso
la storia, la conoscenza, la cultura, la consapevolezza, ma soprattutto
attraverso il fascino dell’infinito viaggiare. [simonetta
cestarelli] |
Claudio
Magris, nasce a Trieste nel 1939 e si laurea a Torino
dove è stato ordinario di Lingua e Letteratura
tedesca dal 1970 al 1978. Attualmente è docente
alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università
di Trieste. A Trieste, città multi culturale e
mitteleuropea, lega anche parte della sua formazione personale
e culturale. È infatti in questa città di
confine e di contraddizioni che Magris vive e scrive.
Magris è uno degli intellettuali più fecondi
e sensibili presenti nel nostro panorama letterario, non
è solo uno studioso preparato e attento, di grandissimo
spessore culturale, ma un uomo dalla grande umanità,
una grande personalità di uomo di lettere che traspare
nei suoi scritti. A lui dobbiamo alcuni dei libri più
belli pubblicati in Italia. Ha tradotto Ibsen, Kleist
e Schintzler; ha pubblicato numerosi saggi fra cui Il
mito asburgico nella letteratura austriaca moderna
(Torino 1963), Wilhelm Heinse
(Trieste 1968), Lontano da dove.
Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale (Torino
1971), Dietro le parole (Milano
1978), Itaca e oltre (Milano
1982), Trieste. Un’identità
di frontiera (in collaborazione con Angelo Ara,
Torino 1982), L’anello di
Clarisse (Torino 1984), Illazioni
su una sciabola (Pordenone 1986), il testo teatrale
Stadelmann (1988) Un
altro mare (1991) Microcosmi, con cui ha vinto
il Premio Strega 1998. Nel 2001 pubblica per Garzanti
Utopia e disincanto.
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