L’obiettivo
che l’autore del libro si è proposto col suo lavoro
è stato quello di indagare su uno dei maggiori problemi
irrisolti che Karl Marx ha lasciato in eredità ai suoi
interpreti: la legittimità della speranza in sede pratica
e teoretica, tanto nella cornice del suo pensiero quanto nel
più ampio orizzonte della filosofia. Il punto di partenza
della trattazione di Fusaro è stata la problematica sovrapposizione
che innerva gli scritti marxiani delle dimensioni eterogenee
della speranza e della scienza, quasi come se, per quel che
riguarda il tramonto del capitalismo e l’instaurazione
della società comunista, sussistesse un’identità
tra il «dovere in senso morale» (sollen) e il «dovere
in senso fisico» (müssen), con la conseguente aporia
per cui, a seconda della prospettiva adottata, ci si trova a
sperare in qualcosa che dovrà necessariamente accadere,
o a dare una veste scientifica alla speranza.
La linea interpretativa seguita da Fusaro è quella che
scorge in Marx il filosofo della speranza più che della
scienza e che in particolare, pur prendendo le mosse dalla sua
evidente renitenza a predipingere il futuro e a prescrivere
«ricette per l’osteria dell’avvenire»,
riconosce nella sua riflessione un’ineludibile tensione
messianica e utopica rispetto alla quale la scienza sarebbe
un fenomeno secondario e subordinato. Fusaro assume come posizioni
paradigmatiche le riflessioni di Ernst Bloch e di Karl Löwith,
sia per la lucidità, sia per le opposte valutazioni del
pensiero di Marx che le contraddistinguono. Entrambi sostengono
la centralità del momento della speranza in Marx, ma
in forza delle concezioni antitetiche di questo sentimento che
essi fanno valere all’interno della propria riflessione,
lo valutano in maniera opposta. Tanto per Bloch quanto per Löwith
la vera anima del marxismo è la speranza: un’anima
che però è letta dal primo come il punto di forza
della teoria di Marx, dal secondo come il suo tallone d’Achille.
Liquidandola come il meno filosofico degli atteggiamenti possibili,
invalso con l’avvento della prospettiva cristiana futuro-centrica
e riadattato in forma perversamente secolarizzata dalla filosofia
della storia, Löwith non può che ravvisare in Marx
il paradigma di un pensiero contraddittorio nelle sue stesse
fondamenta; una filosofia, per di più, responsabile –
ancorché indirettamente – di tutte le catastrofi
che nel Novecento sono state compiute in suo nome. Sul versante
opposto, conferendo alla speranza lo statuto ontologico di principio
che permea l’universo oltre che di stato d’animo
che da sempre sospinge l’uomo, Bloch scorge in Marx il
filosofo supremo, quello che ha fatto della speranza la base
della teoria e soprattutto della prassi, ereditando le universali
speranze umane e convogliandole in un’unica «docta
spes» consapevole delle proprie possibilità; un
filosofo che il Novecento non ha fatto altro che travisare in
sempre nuovi fraintendimenti e trasfigurazioni. Nel capitolo
che segue la presentazione del lavoro e del tema della speranza
negli scritti marxiani, è analizzato il modo in cui Löwith
declina il tema della speranza, liquidandola come l’atteggiamento
degno del credente fiducioso in un remoto futuro che sfugge
alla presa della ragione filosofica: il capitolo è significativamente
intitolato «filosofia o speranza», a sottolineare
come per Löwith la scelta dell’una comporti con ciò
stesso l’abbandono dell’altra. Nel successivo capitolo,
è stato invece preso in esame il tema della speranza
in Bloch, tema che costituisce il cuore della sua filosofia
e che egli fonda su basi ontologiche. Questo capitolo è
stato invece intitolato «filosofia e speranza»,
per adombrare l’idea blochiana secondo cui, solo dove
c’è speranza, c’è filosofia in senso
autentico. Le due componenti, che in Löwith si elidevano
mutuamente, in Bloch sono coessenziali. Nel capitolo seguente,
intitolato «Bloch e Löwith di fronte a Marx»,
è esaminato il rapporto che i due pensatori intrattengono
con Marx alla luce dei sistemi che sono venuti elaborando: il
capitolo è suddiviso in quattro sottocapitoli; nei primi
tre («storia di un incontro», «due percorsi
inversi» e «con Marx, contro Marx») sono ripercorsi
i diversi modi in cui i due pensatori si accostano a Marx e
ne leggono il pensiero nelle loro opere; nel quarto («il
socialismo reale») è preso in considerazione il
modo opposto in cui i due autori rispondono alla vexata quaestio
della responsabilità di Marx per le tragedie che hanno
costellato il Novecento. Infine, nella conclusione, vengono
svolte alcune considerazioni generali di filosofia della storia:
la domanda che fa da stella polare a quest’ultimo capitolo
è se al tramonto della pur contraddittoria esperienza
sovietica abbia fatto seguito una generale eclisse della «speranza
sociale».
[redazione]