"Gladys
aveva della propria bellezza una consapevolezza profonda, che
non l’abbandonava mai e le dava una pace interiore in
ogni momento della giornata. La sua vita era semplice: vestirsi,
piacere, incontrare un uomo innamorato, e poi ancora vestirsi,
piacere..."
La bellezza, è questa l’ossessione che accompagnerà
Gladys Eysenach per tutta la sua vita. La bellezza e soprattutto
il suo folle desiderio di piacere. Guiderà la sua esistenza,
si impadronirà di lei, portandola a commettere azioni
spregevoli. E’ una furia la sua vanità, il suo
narcisismo, che non bada neanche agli affetti più profondi.
E come la Jezabel dell’Antico Testamento diventa la cattiva
per antonomasia.
Ma non ci appare da subito così. Il romanzo si apre con
il processo a Gladys, accusata di aver ucciso un giovane, Bernard
Martin, uno dei suoi tanti presunti amanti.
E’ pallida, emaciata, dimessa, lo sguardo fisso. Impietose
le considerazioni delle persone accorse nell’aula di tribunale
per assistere al declino della bella imputata.
Il ritmo è incalzante, poche pagine che lasciano senza
respiro. Quando viene chiamata sul banco a deporre le vengono
fatte accuse di infimo livello. Una donna dissoluta,frequentatrice
di case di appuntamenti, che al culmine della sua perversione
e malvagità uccide il suo nuovo giovane amante,forse
temendo la gelosia del suo ricco compagno italiano. Al lettore
però appare solo una elegante signora che non reagisce,
non combatte, si limita ad annuire, dimessa, sfiorita.
Ma da qui comincia in flashback il racconto della sua vita e
tutta la compassione che si prova per lei nel primo capitolo
scompare pagina dopo pagina, fino ad arrivare al disgusto per
una donna che innalza la bellezza e la vanità al primo
posto nella sua vita, prima addirittura di sua figlia.
Il finale sorprende e costringe a rileggere le prime pagine
perché questa volta sappiamo qual è la verità
e ci occorre rivederla sul banco degli imputati come è
realmente.
Anche se la trama può sembrare banale, (l’esistenza
frivola e ricca di una signora dell’alta società
che sfocia in un delitto), quello che fa di questo libro un
bel libro è la capacità della Nemirovsky di far
nascere dei sentimenti per la protagonista per poi farli cambiare
radicalmente. Sono le sensazioni del lettore che cambiano e
si evolvono così come la trama del romanzo.
[francesca
bompadre]
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Nata
a Kiev da famiglia ebraica nel 1903, figlia di un ricco
ebreo russo di origini francesi, ex commerciante di granaglie
e divenuto uno dei più potenti e temuti banchieri
di tutte le Russie, Iréne Némirovsky nella
sua pre-adolescenza si appassiona alla letteratura –
quella francese, particolarmente – ed inizia a scrivere
i suoi primi racconti con una peculiarità introspettiva
e psicoanalitica. Ciò che cerca di subliminare
attraverso la scrittura è l’odio provato
nei confronti della madre completamente assorbita dal
vivere nel bel mondo.
Allo scoccare della Rivoluzione Bolscevica del 1917 la
scrittrice lascia in fretta e furia, unitamente alla sua
famiglia, San Pietroburgo per rifugiarsi in Francia. A
Parigi continua ad impegnarsi nella sua attività
preferita, la scrittura, ed è ancora giovanissima
quando Grasset le pubblica il suo primo romanzo, che avrà
uno strepitoso successo: David Golder. Nel 1926 sposa
Michel Epstein, giovane e capace ingegnere che seguirà
fino alla fine il suo avverso destino; da questo matrimonio
nasceranno due bambine, Denise e Elisabeth.
Negli anni successivi l’antisemitismo inizia a far
sentire forte il suo ringhio; Iréne Némirovsky
decide così di convertirsi al Cristianesimo e battezza
se stessa e le sue due figliole. Ma ciò nonostante
la morsa della furia nazista si stringe e non la perdona:
Iréne e Michel finiranno entrambi arrestati e successivamente
trucidati nei campi di sterminio. Deportata prima a Pithivier
e poi ad Auschwitz, dove morì nel 1942. |
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