“Puskin
si faceva distrarre, come sempre, continuamente, dalla vita.”
Nico Orengo questa volta si cimenta in un “giallo letterario”.
Durante un suo viaggio nella Grande Madre Russia, in visita
alla casa di Puskin, viene a conoscenza della scomparsa di una
penna, regalo di Goethe a Puskin. Questo stuzzica la fantasia
dello scrittore piemontese e inizia così la sua spasmodica
ricerca del dono sparito, che attesterebbe una amicizia, una
frequentazione, o forse solo una ammirazione del grande tedesco
verso il grande russo. Ricerca di un appassionato bibliografo,
che si perde tra volumi persi e ritrovati, tra richieste fatte
ad amici letterati, giornalisti, docenti universitari. Ma questa
indagine sembrerebbe solo un artificio letterario. Un motivo
per dirci qualcosa di più su Puskin, un pretesto per
raccontarci qualcosa sulla famiglia di origine di Orengo, i
Tallevic, “russi di Sanremo”. Troviamo delle pagine
gradevoli, ma si sa i racconti delle nonne davanti al camino
sono quasi sempre un colpo riuscito, soprattutto se si possiede
il dono della buona scrittura, e Orengo ce l’ha. Però
non basta. La storia della penna è debole, non regge,
le pagine che si riferiscono alla soluzione di questo mistero
sono piatte, senza mordente, insomma un grande sonno. Ma poi
appare Puskin con il suo privato e ci salva dalla narcosi della
lettura. Il libro prende corpo, si fa interessante, appare un
po’ di sostanza insomma quando ci racconta parti della
vita privata del poeta, che come si sa fu tutt’altro che
noiosa.
Dalla descrizione di Natal’ja, moglie anaffettiva e frivola
del poeta, ai balli, feste di corte, amori e innamoramenti fatui,
passioni e un grande orgoglio e senso dell’onore che portarono
il russo a morire in un duello, l’ultimo dei suoi ventisei.
Le ultime ore della vita di Puskin, ferito mortalmente, vengono
narrate attraverso la lettera che Zukovskij, amico fraterno
del poeta, invia al padre. Si svela il lato più umano
dela sua vita, le sue paure ma anche la sua risolutezza, la
riappacificazione con lo zar, un nuovo affetto verso la moglie
e tutto l’amore verso i figli. Siamo trasportati dall’emozione,
anche noi lettori ci troviamo al suo capezzale, aspettando la
fine, con lui. E poi la fatidica ora arriva così come
arriva la fine del libro e non ci ricordiamo più come
è cominciato, la penna un vago e lontanissimo ricordo.
Ci rimane Puskin, la sua vita, le sue opere, il tragico e toccante
momento della sua fine, e allora capiamo perché lo abbiamo
letto questo libro, perché ci ha parlato di lui, della
sua vita eccitante, dei suo romanzi appassionanti, della sua
lirica sublime. Vogliamo credere che anche Nico Orengo scrivendo
questo romanzo abbia avuto questo fine, omaggiare un vero grande
della letteratura.
[francesca
bompadre]
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Nico
Orengo è nato a Torino, dove vive e lavora. Presso
Einaudi ha pubblicato Ribes,
Miramare, Le
rose di Evita, L'allodola
e il cinghiale, Figura gigante,
La guerra del basilico, L'autunno
della signora Waal, Dogana
d'amore, Il salto dell'acciuga,
L'ospite celeste, Gli
spiccioli di Montale, La
curva del Latte, L'intagliatore
di noccioli di pesca, Di
viole e liquirizia, Hotel
Angleterre e Chi è
di scena! (anche in versione inglese, Take the
Stage!). Tra le sue raccolte di poesia, Cartoline
di mare vecchie e nuove, Narcisi
d'amore e Spiaggia, sdraio
e solleone. Inoltre ha curato per «Einaudi
Stile libero» il libro di Antonio Ricci Striscia
la tivù e tradotto La
morte malinconica del bambino ostrica e altre storie
di Tim Burton. |
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