Fin dall’antichità,
il pensiero di Epicuro fu paragonato a un potente farmaco finalizzato
a debellare i mali dell’anima che da sempre tormentano
l’uomo impedendogli di vivere serenamente: ma sappiamo
che il termine greco pharmakon racchiude in sé i due
opposti significati di «medicina» e di «veleno»;
e, a ben vedere, la stessa duplicità anima la filosofia
di Epicuro, che, nella misura in cui si pone come medicina per
l’anima umana, assume il carattere di veleno che distrugge
dall’interno la filosofia tradizionalmente intesa come
disinteressata contemplazione della verità. Con Epicuro,
infatti, la filosofia cambia natura, tramutandosi in prassi
filosofica finalizzata al “viver bene” del soggetto
che la esercita; ed è esattamente per questo motivo che
il filosofo greco ammetteva anche donne, schiavi e bambini nel
suo “Giardino”.
La “rivoluzione filosofica” compiuta da Epicuro
in rottura con tutta la tradizione precedente, da Talete ad
Aristotele, sta dunque nell’aver invertito il tradizionale
rapporto tra uomo e cosmo, tra teoria e pratica: alla classica
domanda “com’è fatta la realtà?”
si sostituisce l’interrogativo epicureo che sta alla base
del suo antropocentrismo filosofico: “come deve essere
fatta la realtà e come la si deve conoscere per poter
essere felici?”. Ogni specifica articolazione della filosofia
epicurea è subordinata all’obiettivo di un’esistenza
felice ed in nulla inferiore a quella propria delle realtà
divine; la gnoseologia, la meteorologia, la teologia sono da
Epicuro sviluppate appositamente al fine di rasserenare l’animo
umano, riportandolo – secondo la magnifica immagine impiegata
da Epicuro stesso – a quella placida condizione in cui
si trova il mare dopo la tempesta. Come scrive efficacemente
Giovanni Reale nella prefazione all’opera di Fusaro, «per
Epicuro la vita è il vero “assoluto”»
(p. 6), rispetto al quale tutto il resto è subordinato:
la filosofia deve essere al servizio della vita e non viceversa.
È questo il grande messaggio che ci ha trasmesso l’antico
e venerando Epicuro, il quale – precisa Reale –
«ha ancora molto da dire anche agli uomini di oggi, più
che mai affetti dai mali dell’anima, come questo libro
di Fusaro dimostra in modo egregio» (p. 9).
[redazione]
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