«L’intenzione di lavorare sul Macbetto di Giovanni Testori nasce dalla volontà di proseguire una particolare ricerca rivolta agli aspetti musicali della lingua teatrale. Il percorso, cominciato con E’ bal, poemetto in versi in dialetto romagnolo del poeta Nevio Spadoni, si inscrive nella storia del Teatro delle Albe segnata dalla visione artistica di Ermanna Montanari e Marco Martinelli, che dello stesso autore hanno messo in scena Lus e L’isola di Alcina. Non a caso Testori, altro autore caro alle Albe (si ricorda A te come te, lettura scenica per la voce di Ermanna Montanari, 2013), per la scrittura del Macbetto attinge più da Verdi che da Shakespeare. La lingua che Testori inventa per questo testo ha una musicalità interna molto forte che sembra suggerire il ritmo ossessivo dei cori delle streghe dell’opera verdiana, e possiede entrambi gli andamenti contrastanti dell’Overture: la furia guerresca e lo sdiliquio amoroso. A partire dal testo originale si è operata una riduzione, ricavandone solo tre figure, espungendo dunque il Coro e omettendo l’ambientazione della chiesa sconsacrata. Sarà il Teatro in sé a diventare una specie di chiesa sconsacrata, mentre alcune parti del Coro verranno ridistribuite ai tre personaggi principali: Macbet, Ledi Macbet e la Strega. Le tre figure sembrano dettare un continuo e ciclico movimento di generazione vicendevole, come se fossero, ciascuna, una e trina. Tramite un parto defecatorio, Macbet genera la Strega, legata indissolubilmente alla Ledi (sanno le stesse cose: hanno la stessa voce o sono proprio la stessa persona?). Nel finale Macbet vorrebbe, se non proprio scomparire, quanto meno rientrare nell’utero della donna, come se fosse quello della sua stessa madre, mentre la Strega, sempre nel finale, viene reincorporata non più dentro Macbet, che l’aveva generata, ma nel ventre della Ledi cui spetterà l’atto conclusivo. Il maschile e il femminile sono in continua discussione, scambio, mutazione. D’altronde c’è un Eros nero nel testo, un Eros rovesciato nella sua parte oscura, malata, ossessiva: un priapismo che passa dall’uomo alla donna. Eros e Priapo di Gadda sembra essere allora il libro segreto che soggiace al testo, la traccia nascosta nel fondo del fondo più nero di questo infernale Macbetto testoriano. Un incessante interrogarsi sul potere e sulla sessualità del potere – “Il Poteraz” – sul sesso come strumento di potere, tema quanto mai attuale nell’era del Pop Porno. Il testo, greve e impuro, è imbevuto e lordato di ogni possibile liquido corporale: feci, sangue, sperma, urina. Macbetto è infatti un’opera materica, biologica, un farsi e disfarsi continuo che richiama le ragioni profonde del teatro stesso, essendo quest’ultimo, appunto, biologia. Ricorre quindi un continuo sporcarsi (il pensiero va ad artisti come Olivier de Sagazan o Paul McCarthy, che saranno fonti d’ispirazione per l’allestimento scenico), ma contrastato dalla tensione tutta verticale a cui si aggrappa il personaggio di Macbet, soprattutto nei dialoghi diretti con colui che sembra sovraintendere a ogni cosa, lo Scrivano “creatore di me e di questa lingua porcellenta e falsatoria”. La medesima impurità caratterizzerà la relazione tra gli interpreti dello spettacolo. I tre attori-performer, provenienti da teatri e percorsi diversi, dovranno cercare la difficile intonazione di tre strumenti differenti, dell’unirsi restando disuniti, dell’amalgamarsi restando se stessi, per inquinarsi a vicenda preservando e facendo anzi esplodere la precisa identità di ciascuno. Intendo insieme cercare quell’accordo alchemico di diverse e peculiari lingue sceniche appreso in venti anni di bottega al Teatro delle Albe».
Roberto Magnani
Angelo Mai, viale delle Terme di Caracalla 55, Roma 30 e 31 gennaio 2020 ore 21.00
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