4 settimane. 21 spettacoli a settimana. 4 monologhi e 3 corti teatrali a sera. Questi sono i numeri di SHORTlab, la rassegna teatrale giunta alla sua terza edizione, curata da Massimiliano Bruno che dal 27 febbraio al 25 Marzo 2018, occuperà le tavole del Teatro Cometa Off di Roma (Testaccio).
In attesa di vedersi sfidare compagnie da tutta Italia a suon di forme brevi di drammaturgia, abbiamo incontrato il curatore insieme a Gianni Corsi, Daniele Coscarella e Susan El Sawi, Massimiliano Bruno.
Come e perché nasce SHORTlab?
Nasce da un’idea avuta 5 anni fa di poter, con i ragazzi che avevano frequentato i miei laboratori teatrali, avere un palcoscenico in cui mettere in scena i lavori scritti durante i laboratori. Creai così un manifestazione chiamata ET – Esperimenti Teatrali sempre al Cometa Off.
L’anno successivo ho sentito il desiderio di coinvolgere più persone possibili. Se nella prima edizione si portavano spettacoli veri e propri, dei lunghi insomma, con la possibilità di mostrarne veramente pochi, ho pensato che sarebbe stato carino presentare dei monologhi o corti teatrali. Così è nato SHORTlab totalmente frequentata e interpretata, nella sua prima edizione, da attori e attrici che avessero frequentato i miei laboratori. L’anno successivo parlando con i miei collaboratori, abbiamo deciso di estendere questa possibilità a tutta l’Italia pensando che fosse utile l’interazione tra i ragazzi, coinvolgendo compagnie che avessero cose da proporre. Visto il successo e le sinergie createsi lo scorso anno e la bontà dell’operazione abbiamo proseguito su quella strada arrivando quest’anno ad oltre 500 domande d’iscrizione.
Che criteri avete usato per la selezione? Avete individuato linee di tendenza nei progetti presentati?
Per l’iscrizione si doveva presentare il testo dello spettacolo ed un breve video in cui il regista presentava il progetto unitamente al curriculum degli attori. Io facendo lo scrittore mi sono concentrato maggiormente sul testo. Noi siamo in quattro, ognuno con le sue valutazioni che poi abbiamo incrociato in lunghe ed estenuanti riunioni. E’ stata molto dura arrivare al risultato finale. Abbiamo cercato di rappresentare tutti i generi, eliminando quei progetti che ci sembravano tra virgolette un po’ troppo televisivi, tipo sit-com. Siamo andati su qualcosa di più teatrale. Scoprire nuove tendenze è una cosa di cui puoi parlare dopo averle scoperte, prima è casuale. Negli anni scorsi abbiamo visto e premiato cose molto interessanti. Mi fa piacere sottolineare come lo spettacolo che abbiamo premiato lo scorso anno, La leggenda del pescatore che non sapeva nuotare, da corto che era è poi diventato uno spettacolo di 1 ora e 20 presentato quest’anno al teatro Quirino di Roma. E’ stata una bella scoperta vedere come quella compagnia stia andando avanti e che avevamo avuto l’intuizione giusta. Come poi è capitato per gli attori che avevano vinto le prime due edizioni in forma di monologo: Giuseppe Ragone e Cristina Chinaglia.
Quali sono le maggiori difficoltà nello scrivere e portare in scena queste forme brevi di drammaturgia?
Intanto abbiamo fissato dei paletti: 10 minuti per i monologhi e 20 per i corti. Nel monologo deve emergere chiaramente la qualità dell’attore; può capitare di leggere un bel testo scritto appositamente per un’attore e poi rimanere deluso dalla sua performance o viceversa, un testo che non ti aveva convinto completamente che viene invece esaltato dalla performance dell’attore. Sui corti la difficoltà sta nel racchiudere una storia che abbia un senso dall’inizio alla fine; la selezione è avvenuta anche per la finitezza del testo, che non fosse un progetto velleitario o una scenetta televisiva, che non fosse uno sketch fine a se stesso e che avesse una sua coerenza drammaturgica e una possibilità di sviluppo. Noi diamo un premio in denaro che possa essere un incentivo per quella compagnia a sviluppare quello o un altro progetto, come appunto capitato lo scorso anno.
Sei reduce dal successo del tuo Sogno di una notte di mezza estate tratto da Shakespeare, colpendomi molto la presenza in sala di numerosi giovani. Quanto operazioni come queste servono ad attrarre giovani spettatori a teatro?
Era un obiettivo del Sogno e lo ripetevo spesso durante le prove agli attori: dobbiamo fare in modo che sia comprensibile anche per un bambino. E’ una filosofia di vita. C’è chi sperimenta a teatro e segue quest’onda senza stare troppo a pensare al gradimento del pubblico perché parte di una ricerca; poi c’è una seconda proposta che deve essere comprensibile per amore degli autori e dei testi, per amore di Shakespeare nel mio caso. Per me i giovani sono importanti perché sono coloro che faranno teatro o saranno gli spettatori del teatro tra 15 e 20 anni. Quello che mi premeva del Sogno, al di là della parte divertente, è che rimanesse nel cuore dello spettatore qualche battuta che evidenziasse cosa ci fosse dietro il Sogno: un pensiero laico che sosteneva come la parte razionale e l’inconscio fossero una cosa sola; che la verità ed il sogno possono essere sulla stessa linea, camminare sullo stesso binario. E’ un concetto molto sottile ma comprensibile ed il pregio dello spettacolo è proprio questo, non trascurare la parte inconscia che probabilmente è quella che ci dice sempre la verità mentre la parte razionale ci aiuta maggiormente ad accettare compromessi per il nostro quieto vivere. Catturare l’attenzione di questa giovane fascia di età per me è una vittoria. Ovviamente per farlo devi rinunciare ad certo tipo di ricerca che è una ricerca su te stesso che però puoi fare in altri modi. Andare incontro ad un pensiero più giovane secondo me è una cosa buona e giusta.
Attore regista, autore. Uno e trino. Quanto questo ti aiuta nel tuo lavoro sopra e sotto il palco, davanti e dietro le quinte come in SHORTlab?
Mi ha aiutato molto al cinema come regista nel rapporto con gli attori, conoscendone la psicologia, essendo stato attore pure io. Questo è un mestiere molto duro e devi avere un pelo sullo stomaco nello scegliere un lavoro in cui sei continuamente scelto da altri. Ad averlo fatto mi ha aiutato per la scelta da far prendere a livello interpretativo agli attori. Così come a teatro. Nel Sogno mi ha aiutato a far capire agli attori che interpretavano i comici che potevano essere dei guitti, che il guitto shakespeariano era una persona che un pochino doveva superare il limite e diventare quindi un buffone, cosa che a noi attori fa paura, non vorremmo mai esagerare per non fare brutta figura. Io li ho invece fatti lavorare proprio sull’esagerazione. Per SHORTlab vi è un principio etico: cercare di trattare bene una categoria solitamente bistrattata a livello personale. Ho assistito a provini poco rispettosi, ho visto attori aspettare come bestie da soma per 10/15 ore per fare provini, altri trattati male sui set da aiuto registi aggressivi. Li ho visti presi in giro dalle agenzie o bistrattati dai casting. Quello che proponiamo noi è gentilezza ed accoglienza. Una sponda per poter dare loro una chance di visibilità. La nostra è una scelta no-profit: collaboriamo con Emergency ed i proventi dei biglietti vanno in parte in premi per gli attori in parte in beneficenza. Lo facciamo con lo spirito di una vera festa per il teatro, augurandoci che almeno uno o due persone ad edizione possano emergere e trovare più lavoro.
Teatro Mainstream e Teatro Off: più assonanze o differenze?
Quando vai nei grandi circuiti, nei grandi teatri con abbonati e difficile non tener conto che avrai un pubblico importante e che c’è un investimento economico di un certo tipo ponendoti quindi maggiormente il problema del gradimento del pubblico. Per l’Off hai talmente poco in mano a livello economico che in qualche modo aiuta. Hai un’oasi talmente libera che puoi permetterti di sperimentare maggiormente. Quando sei giovane è più facile essere velleitari rispetto a quando hai cinquant’anni ed arrivi al Teatro Eliseo con una scrittura del Sogno un po’ azzardata verso la quale più di uno avrebbe potuto in verità gridare allo scandalo. Io il Teatro Off lo consiglio a tutti per iniziare: attori, registi, autori.
Ricordo quando stavo in scena nel 1997 al Teatro Colosseo diretto da Ulisse Benedetti, una specie di guru del teatro, permettendoci di fare parecchie cose. Ricordo che in prima serata c’ero io con uno spettacolo insieme a Valerio Aprea e in seconda c’era Mattia Torre con Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo con il loro spettacolo. Sostanzialmente ci siamo conosciuti li al Teatro Colosseo, poi ognuno ha fatto la sua strada, incrociandoci infine diverse volte come per Boris. Era un periodo quello, la Roma dei primi Anni Novanta, di ricerca teatrale, di fermento artistico in cui si navigava a vista e con i teatri pieni in cui il pubblico pagava 20/25000 mila lire di biglietto… Adesso i tempi sono cambiati e per andare a teatro visti i costi, ci vuole un mezzo sacrificio.
Teatro, cinema e televisione: chi il primo amore, chi la compagna di una vita e chi una felice/infelice scoperta?
Il teatro è il grande amore con cui ho iniziato a fare questo lavoro, quando da 18enne andavo a vedere i giovani autori di allora che proponevano i loro testi come Umberto Marino, Duccio Camerini, Angelo Longoni ed Edoardo Erba.
Il cinema è una bella passione che sto imparando a fare facendo, nel senso che è un qualcosa che devo imparare ad amare veramente. Per ora è un grande mezzo per poter dire delle cose a tante persone, pensando a film con contenuti sociali come Viva l’Italia o Gli ultimi saranno ultimi.
La televisione francamente quella che ho fatto come attore non mi interessa; come autore mi sono invece tolto delle soddisfazioni. E’ un po’ come quell’amico che stimi ma con cui non ti sei mai preso veramente. Mi piacerebbe trovare un giorno una strada per farmi piacere anche quella ma in questo momento non ho tanta voglia.
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