Ogni anno in Australia scompaiono nel nulla 30.000 persone. Il 90% viene ritrovato nel giro di un mese. Alcuni ricompaiono entro un anno. Del resto non se ne sa più nulla.
Wolf Creek è il nome di un parco nazionale australiano che ospita uno dei più grandi crateri prodotti da meteorite al mondo ed è lo scenario dell’incontro tra tre giovani turisti, Liz (Cassandra Magrath), Kristy (Kestie Morassi) e Ben (Nathan Phillips) con il classico bushman australiano alla Crocodile Dundee, personaggi integri, sani, affascinanti per la loro ingenuità e visione infantile del mondo. Peccato che in questo caso più che ha un giocoso ed innocuo sempliciotto australiano, i tre ragazzi si troveranno di fronte ad una sorte di orco, di boogieman, di uomo nero, Mick Taylor (interpretato dall’ottimo John Jarratt, Picnic ad Hanging Rock) figlio bastardo di un’Australia violenta e criminale che non ha dimenticato ancora del tutto le sue origini di isola prigione.
Ispirato lontanamente a fatti di cronaca nera come quelli che videro protagonista il serial killer australiano Ivan Milat che uccise nella prima metà degli anni novanta decise di autostoppisti, Wolf Creek recupera le medesime atmosfere del cinema horror americano dei primi anni Settanta, quello de L’ultima casa a sinistra di Craven per intenderci, un horror indipendente, caustico, in cui l’orrore viene messo in scena in maniera molto diretta, senza andare in cerca di troppe spiegazioni sociologiche o psicologiche, rendendo l’orrore ancora più insopportabile perchè inspiegabile.
La pellicola recupera anche le modalità produttive indipendenti di certo cinema, in quanto il neoregista Greg McLean ha fatto suoi e applicato i principi fondanti del movimento DOGMA 95 ovvero nessun set ricostruito, luci e suoni ridotti al minimo, uso della macchina da presa digitale (il film è stato girato utilizzando una macchina da presa ed obiettivi ad alta definizione, gli stessi utilizzati per Guerre Stellari Episodio II e III) e grande concentrazione sulla storia e sul suo modo di raccontarla.
Oltre hai quattro protagonisti della storia, un quinto personaggio del film è da considerarsi il paesaggio, la wilderness australiana che con i suoi spazi immensi, i suoi colori accesi. Un deus ex machina e nello stesso tempo coro greco a commento degli eventi narrati. L’uso espressionista del paesaggio e dei suoi colori, esaltati dall’uso della macchina digitale accompagnano da un lato la discesa all’inferno dei nostri protagonisti e dall’altro ne guida le gesta determinandone il destino.
Un horror secco, asciutto, in cui la mattanza finale è ben preparata dal lunghissimo incipit che ha il merito di generare un clima di paura perenne, di tragedia imminente pronta ad esplodere. Più che esplosione dovremmo invero parlare di implosione, in quanto la mattanza è trattenuta, come congelata rispetto alle possibilità che erano state apparecchiate evitando il liberatorio spargimento di sangue a fiumi che caratterizza molto cinema splatter recente e rendendo il film per quel suo senso di incompletezza che lascia, ancora più disturbante.
Regia | Greg McLean |
Sceneggiatura | Greg McLean |
Fotografia | Will Gibson |
Montaggio | Jason Ballantine |
Musica | Francois Tetaz |
Cast | John Jarratt, Nathan Philips, Cassandra Magrath, Kestie Morassi |
Anno | 2005 |
Nazione | Australia |
Genere | Horror |
Durata | 99' |
Distribuzione | Time Code |
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