California agli albori degli anni’70: la vita del detective privato fricchettone Doc Sportello (Joaquin Phoenix) scorre liscia come l’olio tra spinelli e spiagge, finché la sua ex (Katherine Waterstone) non piomba a casa sua preoccupata per le sorti del suo nuovo fidanzato, magnate dell’edilizia losangelina (Eric Roberts) scomparso improvvisamente. Non appena Doc inizia a suo modo ad approfondire, si scontra con un poliziotto tutto d’un pezzo e avido di banane surgelate (Josh Brolin), con sette filo-ariane, con una fantomatica Golden Fang, che è un po’ associazione di dentisti un po’ cartello della droga e con un sassofonista al soldo dell’FBI (Owen Wilson).
C’è stato un periodo nella storia della più grande democrazia occidentale in cui tutto era visto con gli occhi della paranoia: quella delle istituzioni che alla vista di qualche giovane coi capelli lunghi si figurava dei seguaci di Charlie Manson pronti a fare una strage e quella degli hippie, che offuscati dai fumi delle nuove droghe vagavano tra illuminazioni improvvise alla ricerca di verità universali; il fatto che il mondo di oggi viva ancora di paure e di verità rivelate dal web a dispetto di complotti segreti fa pensare che forse questa vicenda è più attuale di quanto possa inizialmente sembrare.
In questo magma, Thomas Pynchon ha ambientato gli assurdi intrighi di uno dei suoi romanzi più riusciti, che Paul Thomas Anderson è riuscito a trasporre su celluloide senza perdere nulla della visione allucinata del libro e senza rinunciare al suo stile personale. A questo miracolo di sceneggiatura non è seguita tuttavia un’altrettanto prodigiosa messa in scena, che come il titolo dell’opera sembra avere un vizio di forma che non le permette di dare un’impronta e una direzione tale da coinvolgere davvero lo spettatore, ma che invece si perde negli innumerevoli dialoghi e dettagli, applicando quel rifiuto della sintesi narrativa che è un po’ la croce e delizia del regista statunitense.
Al contrario degli altri film di Anderson, che sono stati spesso delle gare di bravura all’interno dei rispettivi cast, qui si nota una disparità tra la libertà e a tratti l’invadenza scenica di Phoenix rispetto agli altri attori, che appaiono e scompaiono dalla scena dando talvolta la sensazione di essere soltanto un ulteriore sfondo dell’accurata ricostruzione. A questo proposito, i colori pastosi e le nuvole di fumo della marijuana fanno da suggello alla fine dei convulsi anni’70 di “Boogie Nights” descritti sempre in soggettiva, ma con la lente schizoide della cocaina ormai diciotto anni fa.
Il posto nell’immaginario della cultura alternativa, come avvenne anni or sono per altri film impossibili di Cronenberg (“Il pasto nudo” e “Crash”) con tutte le loro imperfezioni è già assicurato, grazie anche ai doverosi omaggi all’iconografia del tempo, da Neil Young in giù. Un ultimo cenno doveroso lo meritano invece le splendide musiche originali di Jonny Greenwood, in oscillazione tra post rock e Penderecki, eppure magicamente intonate a queste atmosfere psichedeliche, ennesimo tassello nel monumento all’ignominia che l’Academy Award ogni anno alimenta quando sceglie di ignorare la genialità nelle nomination agli Oscar.
Titolo originale | Inherent vice |
Regia | Paul Thomas Anderson |
Sceneggiatura | Paul Thomas Anderson |
Fotografia | Robert Elswit |
Montaggio | Leslie Jones |
Scenografia | David Crank |
Costumi | Mark Bridges |
Musica | Jonny Greenwood |
Cast | Joaquin Phoenix, Josh Brolin, Owen Wilson, Katherine Waterston, Reese Witherspoon, Benicio Del Toro |
Produzione | Joanne Sellar, Ghoulardi Film Company, IAC Films |
Anno | 2014 |
Nazione | Usa |
Genere | Commedia |
Durata | 148' |
Distribuzione | Warner Bros. Italia |
Uscita | 26 Febbraio 2015 |
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