The Silent Man

La locandina

Il cinema americano a 45 anni di distanza continua a scandagliare le dinamiche dello scandalo Watergate, che in seguito  all’inchiesta giornalistica del Washington Post portò nel 1973 alle dimissioni dell’allora presidente americano Nixon.

“Tutti gli uomini del Presidente” di Alan J. Pakula (1976) raccontava il punto di vista dei giornalisti Bob Woodward e Carl Bernstein, “Intrighi di potere” di Oliver Stone (1995), quello del presidente Nixon, “Silent Man” di Peter Landesman narra il Watergate direttamente dalla pancia dell’FBI. Il film è la storia di Mark Felt, vice-direttore dell’FBI, noto al mondo sotto lo pseudonimo di “Gola profonda” ovvero la fonte anonima attraverso la quale si riuscì a eludere i depistaggi e a  stabilire la verità di quanto era successo.

Gli  intrecci tra ragione di Stato, libertà, vita privata, potere e ideali sono raccontati con linguaggio “notturno”, al limite del noir; una regia tesa, incalzante, una recitazione da parte di Liam Neeson senza fronzoli, dura ma con bagliori di umanità spiazzanti in cui la vicenda personale a poco a poco viene sopraffatta, ingoiata letteralmente da quella politica.

Questo cambio di prospettiva rende la materia ancora viva, palpitante e a guardarla con gli specchi deformanti dell’attualità, inquietante. Inquietante perché è impossibile alla fine della visione del film non porsi una domanda. Se Nixon e il suo sordido ingranaggio sono stati smascherati da una presa di coscienza del vicedirettore della più grande e potente agenzia investigativa del mondo che ne rivendicava la sua autonomia dal potere centrale, perché Trump continua senza sosta la sua guerra personale contro l’FBI?