In principio furono i Beatles: quattro ragazzi di Liverpool, un palco, l’America e nel 1965 allo Shea Stadium di New York veniva scritta la storia del rock.
Oggi sembra quasi scontato che artisti come i Rolling Stones o Bruce Springsteen (per citarne un paio) riescano a radunare 70.000 persone per un concerto, ma quel 15 agosto 1965 furono i Beatles ad aprire le porte a tutto questo: fu il primo concerto rock a poter vantare più di 55.000 spettatori. Non male per il 1965 e per il gruppo di Liverpool. La British Invasion iniziava e la beatlemania raggiungeva dimensioni spropositate, mentre già l’anno successivo sarebbe apparso Revolver, l’album destinato a segnare un punto di svolta per i Fab Four e per la musica rock e pop più in generale. Ma come funzionò la macchina Beatles in quei fatidici anni, tra il 1963 e il 1966, che ne segnarono l’inarrestabile ascesa? Questo si chiede il nuovo documentario di Ron Howard, The Beatles – Eight Days a Week, evento speciale al cinema dal 15 al 21 settembre.
Ron Howard, non proprio un novellino sul fronte di questo genere (del 2013 Made in America), decide di raccontare la storia del gruppo più famoso del Regno Unito attraverso gli anni che li videro attivi anche nelle esibizioni live, e sopratutto in tour. L’interesse principale del regista è quello di offrire a fan e non, un ritratto dei quattro artisti sia in quanto componenti di quell’unico, grande, mostro sacro a quatto teste che sono i Beatles, sia come individui con le loro peculiarità. Per fare ciò, si affida agli anni che videro il gruppo sfondare, crescere, conquistare l’America, imbarcarsi in tour estenuanti e, in un certo senso, cambiare direzione sia a livello musicale che promozionale: dopo l’esibizione al Candlestick Park di San Francisco nell’agosto del ’66, niente più live.
Attraverso immagini e filmati recuperati anche grazie all’aiuto dei fan con appelli sui social network, il film ci accompagna lungo i tour dei Beatles, negli studi di Abbey Road, nel Cavern Club, alle manifestazioni di protesta e a quelle di isteria collettiva, ai falò di dischi, nei trionfi e nei fiaschi, e come ciliegina sulla torta, nell’ultimo concerto dei Beatles, sui tetti della Apple Records nel 1969.
Quella che un veterano come Ron Howard riesce a far emergere, è una chiara e dettagliata immagine della trasformazione dei Fab Four come gruppo musicale e come uomini in quegli anni: cosa c’era di diverso tra i Beatles del 1963 e quelli del 1966 ai live, in studio e a casa. E’ proprio questo ciò che rende particolare ed interessante il film: non si tratta dell’ennesimo documentario celebrativo di icone musicali, né un dettagliato resoconto delle loro vite dall’infanzia fino a fine carriera, ma del ritratto di quattro ragazzi alle prese con la fama, il successo e che, volenti o nolenti, furono motori principali di un profondo e vorticoso rinnovamento culturale. Non a caso molti sostengono che l’idea di cultura giovanile sia nata in quegli anni.
Forse, ad essere puntigliosi, si potrebbe notare l’assenza di un chiaro quadro dello sfondo sociale e culturale su cui si impostò l’esperienza Beatles, sostegno utile per le nuove generazioni per comprendere in cosa consistesse la forza propulsiva e la novità dei Fab Four e di tutto ciò che portarono con sé. Ma non vogliamo essere pignoli oltre misura. Il film offre tanto altro, come un regalo speciale al solo pubblico dei cinema: la versione restaurata in 4K dei 30 minuti di concerto allo Shea Stadium.
Insomma, il documentario di Ron Howard riporta in vita la magia dei Fab Four di quegl’anni e noi non potremmo chiedere di meglio.
Titolo originale | id. |
Regia | Ron Howard |
Sceneggiatura | Mark Monroe |
Montaggio | Paul Crowder |
Musica | The Beatles |
Cast | Ringo Starr, Paul McCartney, John Lennon, George Harrison |
Produzione | Apple Corps |
Anno | 2016 |
Nazione | UK |
Genere | Documentario |
Durata | 138' |
Distribuzione | Lucky Red |
Uscita | 15 Settembre 2016 |
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