Esistono nella Storia alcuni turning points, momenti che costituiscono l’inizio di qualcosa di nuovo, passaggi fondamentali nel raggiungimento di diritti civili e politici: Seneca Falls per il movimento femminista, la marcia di Selma per la causa dei neri e i moti di Stonewall per l’orgoglio, o meglio la liberazione, gay.
Tutto ha inizio la notte del 27 giugno 1969 nel malfamato “Stonewall-Inn” del Village di New York, uno dei tanti locali che oggi definiremmo gay-friendly; allora uno dei tanti locali gestito dalla mafia, dove quindi si possono servire alcolici a omosessuali seppur esplicitamente vietato dalla legge, corrompere la polizia locale per potersi assicurare un numero ridotto e controllare le retate. Sullo Stonewall, però, si sono da tempo posati gli occhi della Buoncostume che nel tentativo di sorprendere e catturare il gestore del locale, Ed Murphy (Ron Perlman) su cui pendono innumerevoli capi d’accusa, organizza un raid, destinato a costituire la scintilla che accenderà gli scontri. Ciò che successe a Stonewall fu poi commemorato nella marcia del 1970, quella che diede inizio alla ormai consolidata tradizione dei Gay Pride.
Ma come iniziò la rivolta, se così è lecito definirla? Come e perché quella notte esplosero i cosiddetti moti di Stonewall, poi prolungatesi nei giorni successivi? Chi iniziò? Non è chiaro. Il regista stesso, Roland Emmerich, durante le ricerche compiute per la produzione del film, si è spesso interrogato su questo punto. Trovandosi davanti un’infinità di versioni differenti della stessa storia, ha deciso di darne la sua personale versione.
Danny Winters (Jeremy Irvine) è un giovanotto della campagna dell’Indiana, all’apparenza il classico giovane americano medio (o da copertina) tutto football e addominali, in realtà approdato nel Village perché rifiutato dalla propria famiglia in quanto gay e deciso ad iniziare gli studi di Astrofisica alla Columbia University. Lo seguiamo in lungo e largo per Christopher Street, tra comitati per ribadire che “Gay is good” attraverso un’azione pacifica e quasi di mimetizzazione della componente omosessuale in quella eterosessuale, e colorate combriccole di giovani costretti a prostituirsi per sopravvivere e quotidianamente oggetto di soprusi e violenze anche da parte delle forze dell’ordine: saranno proprio questi giovani, che nulla hanno da perdere, il cuore pulsante dei moti di Stonewall. Attraverso gli occhi di Danny, per cui tutto è nuovo di New York, Emmerich ci presenta la difficile condizione della comunità LGBT degli anni ’60, divisa tra il segreto e l’ombra, la condanna di una vita sulla strada, come quella di Ray (Johnny Beauchamp) o la rara fortuna di poter vivere dignitosamente perché accettati per lo meno a casa, come accade a Trevor (Jonathan Rhys Meyers). Sempre in Danny le tensioni, la rabbia e la violenza di una comunità troveranno il loro ideale detonatore.
I moti di Stonewall sono stati certamente un momento di svolta nella lotta per i diritti del omosessuali; l’inizio della vera e propria lotta per i diritti della comunità LGBT; il momento che ha visto il concretizzarsi dell’opposizione in vere e proprie azioni di violenza. E’ proprio su queste che indugia la cinepresa di Emmerich.
Reduce da una lunga e consolidata esperienza nel genere blockbuster-catastrofico, il regista tedesco infatti sa certamente come girare e gestire scene di agitazione collettiva, riuscendo a rendere la distruzione di un locale un momento tanto violento quanto eroico (e sì, anche divertente da guardare). Ma qualche dubbio sorge.
La sceneggiatura, priva di fronzoli e ben limata, è affidata al drammaturgo pluripremiato Jon Robin Baitz, che se da una parte riesce a costruire un prodotto che limita molto il rischio di annoiare (ma non quello di risultare a tratti ripetitivo), non sembra così coerente a livello narrativo: la storia personale di Danny e la memoria storica di Stonewall non sembrano armonizzarsi a dovere, ma piuttosto pestarsi i piedi a vicenda. Danny risulta troppo ingombrante (o al contrario troppo “nuovo” a New York) per permetterci di analizzare veramente a fondo il panorama gay di quegli anni, mentre la fama dei moti di Stonewall è tale da soffocare una crescita concreta del protagonista.
Eppure è un film ricco, non solo visivamente, grazie ai set interamente ricostruiti a Montreal (Michèle Lalibertè), ad elementi “briosi” a partire dal gruppo dei “bitches”, amori non corrisposti, cuori spezzati, sogni e speranze. Ma forse il problema è proprio in questo incerto connubio tra elementi di puro intrattenimento e la comunque presente volontà di ricordare un evento per la sua portata storica, sociale e civile, come ci ricordano le didascalie iniziali e finali piene di dati e informazioni sulla attuale condizione della comunità LGBT. Tutto ciò sembra infatti stonare con un 1969 fin troppo patinato e quasi posticcio.
Sono comunque notevoli le interpretazioni dei protagonisti, da Jeremy Irvine e Johnny Beauchamp a Vladimir Alexis, Otoja Abit e Jonathan Rhys Meyers, il che rende il film veramente corale, ma purtroppo non in grado di delineare concretamente i suoi personaggi.
Stonewall ci ricorda un evento di portata gigantesca, senza però putroppo riuscire a consegnarci qualcosa di più 2 ore di semplice intrattenimento.
Titolo originale | id. |
Regia | Roland Emmerich |
Sceneggiatura | Jon Robin Baitz |
Fotografia | Markus Forderer |
Montaggio | Dominique Fortin |
Scenografia | Michele Lalibertè |
Costumi | Simonetta Mariano |
Musica | Rob Simonsen |
Cast | Jeremy Irvine, Jonny Beauchamp, Vladimir Alexis, Ben Sullivan, Jonathan Rhys Meyers, Caleb Landry Jones, Ron Perlman, Otoja Abit |
Produzione | Centropolis Entertainment |
Anno | 2015 |
Nazione | USA |
Genere | Drammatico |
Durata | 129' |
Distribuzione | Alder Entertainment |
Uscita | 05 Maggio 2016 |
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