Ci sono autori che con il passare del tempo migliorano, come i vini. Le tematiche si fanno più profonde e sentite; lo stile si ripulisce di orpelli e barocchismi per mettersi al servizio di storie e personaggi.
Uno di questi autori è il magnifico settantacinquenne Clint Eastwood che oggi, dopo 57 film di cui 46 da protagonista e 25 da regista, presenta una delle sue opere più profonde e riuscite.
Chi si aspetta il solito film sportivo alla Rocky – formazione, successo, caduta e rivincita – ha sbagliato indirizzo. Il mondo della box (la sceneggiatura è ispirata ad un racconto della raccolta Lo sfidante di F.X. Toole), tratteggiato attraverso particolari e dettagli mai troppo insistiti, gesti e volti che lasciano un segno indelebile nella memoria dello spettatore, rimane sullo sfondo. La forza delle immagini traccia un microuniverso fatto di povertà, sofferenza, sacrifici, sogni ed illusioni, voglia di emergere e rassegnazione al tempo che passa. Un film che concentra la sua attenzione sui personaggi, tratteggiati con sofferta partecipazione ed interpretati con una fisicità inusuale da Clint Eastwood (i primi piani sul suo viso rugoso, sono una magnifico trattato di storia del cinema), Morgan Freeman (eccellente in una recitazione fatta di semitoni e venata da sguardi malinconici che toccano nel profondo) ed Hilary Swank (che evidentemente nei ruoli mascolini si trova a suo agio, in una performance di pancia nella prima parte, emozionale affidata a micro-recitazione facciale nella seconda).
Un film costruito intorno alla figura di Maggie, aspirante pugile non più nel fiore degli anni della vita sportiva di un atleta, in cerca di un ricatto personale e sociale attraverso il mondo maschilista della box. Un rapporto filiare che si instaura da subito tra la pugile ed il suo allenatore-mentore che va a sostituire quella dolorosa incomunicabilità tra padre e figlia genetica che attraversa come un filo rosso la più recente filmografia eastwoodiana (Potere Assoluto). Un rapporto sviscerato e rappresentato senza retorica e facili commozioni in tutta la seconda parte del film, quella fuori dal ring e di cui non diciamo di più per non rovinare la visione allo spettatore.
Un film che indaga sugli effetti della violenza sui corpi degli uomini. Formatosi in filoni cinematografici in cui la violenza e la morte erano rappresentate in maniera fumettistica ed indolore (dalla trilogia del dollaro di Sergio Leone alla saga dell’Ispettore Callaghan), da Gli Spietati in avanti, Eastwood ha descritto minuziosamente il dolore che si prova a togliere la vita ad un uomo, i suoi effetti devastanti su cose e persone; i colpi di pistola feriscono ed uccidono, i pugni offendono ed indeboliscono i corpi lasciando segni e menomazioni.
Un film girato al ritmo di un blues, con una fotografia fortemente chiaroscurale. Una regia classica alla John Ford, un western moderno fatto di incontri-scontri, che parla di etica e moralità, del confronto tra uomini su un ring, con il protagonista solitario e sconfitto che invece di cavalcare all’orizzonte verso il sole calante, si incammina lungo un oscuro corridoio verso una luce accecante ed una porta che si chiude lentamente dietro di se. Un film che emoziona e commuove in profondità; un film sincero che ti entra nel profondo per non abbandonarti più.
Titolo originale | id. |
Regia | Clint Eastwood |
Sceneggiatura | Paul Haggis |
Fotografia | Tom Stern |
Montaggio | Joel Cox |
Scenografia | Henry Bumstead |
Musica | Clint Eastwood |
Cast | Clint Eastwood, Hilary Swank, Morgan Freeman, Jay Baruchel, Mike Colter, Lucia Rijker, Anthony Mackie, Margo Martindale, Riki Lindhome, Michael Peña, Benito Martinez, Bruce MacVittie, David Powledge, Joe D'Angerio, Marcus Chait, Ned Eisenberg, Tom McCleister, Morgan Eastwood |
Produzione | Malpaso Productions, Lakeshore Entertainment, Ruddy Productions, Warner Bros. Pictures |
Anno | 2004 |
Nazione | USA |
Genere | Drammatico |
Durata | 137' |
Distribuzione | 01 Distribution |
Uscita | 18 Febbraio 2004 |
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