Alla morte del padre, capostazione con frustrata vocazione alla pittura, Gabriele deve fare i conti col proprio passato, con la cattiva immagine che del genitore aveva da bambino; ripercorrerà per questo la sua infanzia, la sua formazione, e giungerà, grazie a una inattesa scoperta finale, a recuperare la stima perduta nei confronti della figura paterna.
Non so a voi, ma quando uno dei plot tematici di un film italiano vede un critico di professione nel ruolo dell’antagonista contrapposto all’artista eroe, a me scatta un allarme in testa: è più forte di me. Non posso fare a meno di chiedermi se l’intenzione dell’autore e fare una riflessione sul pensiero critico, una critica della critica, o più rozzamente si stia vendicando per una qualche cattiva recensione che lo ha fatto rosicare.
Ricordo, anni fa, era l’epoca dell’uscita di Quo Vadis, Baby? andai ad assistere alla presentazione di un libro su Gabriele Salvatores, cui partecipava, assieme all’autore, il regista stesso. Salvatores lasciò parlare il critico per quasi tutto il tempo, limitandosi ad elogiare la qualità del libro e delle analisi in esso esposte salvo poi, a fine discussione, gelare lo scrittore con una battuta che suonava più o meno così: “Tu sei fortunato, perché fai per lavoro quello che noi tutti facciamo gratis ogni volta che vediamo un film.”
Si può essere d’accordo o meno con Gabriele Salvatores, ma il punto è che, a mia memoria, in nessun film dello stesso il tema della critica venga anche solo debolmente accennato (correggetemi se sbaglio); a Salvatores, è evidente, della critica cinematografica non importa assolutamente nulla, la considera un mondo a parte con cui talvolta è costretto ad avere a che fare con lo stesso spirito con cui gli tocca fare la fila in posta.
Sergio Rubini invece mostra un profondo interesse per la stessa nel momento in cui la fa diventare soggetto dei suoi film. Anche se scoprissimo che l’intenzione di Rubini sia solo quella di vendicare il suo ego ferito, e non lo credo (o almeno lo spero), è comunque evidente che non siamo nel campo di una salvatoresca indifferenza alla critica, con cui l’autore non ha nessun interesse a comunicare, ma piuttosto al grido di allarme di un regista contro una critica che svolge male la sua funzione e con cui è diventato impossibile comunicare.
Il critico Enrico Terrone, in un recente articolo apparso su Segnocinema, ha individuato quelli che lui ritiene i “tre errori della critica”:
1) Ricorrenza di un vocabolario “Estetico-spirituale” invece dell’esposizione di procedimenti verificabili.
2) Adesione emotiva alla narrazione invece della sua decostruzione formale.
3) Adesione incondizionata all’autore e incondizionata disdetta allo stesso con conseguente uso di discorsi preconfezionati.
Anche in questo caso si può essere d’accordo o meno: quello che mi interessa è che proprio i tre errori denunciati da Terrone siano quelli che Rubini attribuisce alla cattiva critica.
Il primo e il terzo punto condizionano il giudizio dell’antipatico professor Venusio, il secondo punto influenza i rapporti tra il giovane protagonista e suo padre (e con “l’uomo nero” del titolo).
Rubini, come Terrone, vede la soluzione in un’analisi che non si fermi alla superficie delle cose: una critica che sappia “saltare da un vagone all’altro” alla ricerca del vero senso e che sappia vedere “cosa si nasconde dietro a un quadro” invece di pretendere di analizzarlo solo guardandolo davanti. [davide luppi]
Titolo italiano | L'uomo nero |
Regia | Sergio Rubini |
Sceneggiatura | Domenico Starnone |
Fotografia | Fabio Cianchetti |
Montaggio | Esmeralda Calabria |
Scenografia | Luca Gobbi |
Costumi | Maurizio Millenotti |
Musica | Nicola Piovani |
Cast | Sergio Rubini, Valeria Golino, Guido Giaquinto, Riccardo Scamarcio, Fabrizio Gifuni |
Produzione | Bianca Film, Rai Cinema |
Anno | 2009 |
Nazione | Italia |
Genere | Drammatico |
Durata | 116' |
Distribuzione | 01 Distribution |
Uscita | 04 Dicembre 2009 |
Nessun commento