Carrie (Chloe Grace Moretz) è un’adolescente timida e impacciata che vive quasi segregata in casa dalla madre ossessionata dalla religione e dal peccato (Julianne Moore). Dopo l’ennesima angheria subita dalle compagne nello spogliatotio femminile e subito postata su internet, si chiude ancora di più in se stessa e scopre di avere poteri speciali che le permettono di spostare gli oggetti con la forza del pensiero. Una delle ragazze si pente del trattamento riservato alla povera e convince il proprio boyfriend ad invitarla al ballo di fine anno; Carrie, litigando furiosamente con la madre accetta, ma lì un’altra compagna ha in mente l’ultimo scherzo perverso che metterà in moto la furia sanguinaria della ragazzina.
L’originale “Carrie” di Brian De Palma (1976) fu la prima trasposizione cinematografica da un racconto di Stephen King ed ebbe un successo inaspettato grazie a poche e semplici qualità: da una parte, fu una delle prime prove di bravura di un regista ambizioso e bravissimo che con pochi mezzi si dimostrò completamente a suo agio, dall’altra si fregiò di una sconvolgente interpretazione della protagonista Sissi Spacek, che la portò fino alla nomination all’Oscar insieme alla madre interpretata da Piper Laurie.
Per fortuna, questo atteso remake non è stato affidato all’ennesimo mestierante di genere, ma ad una regista vera come la Peirce, già capace di raccontare l’adolescenza a disagio (“Boys don’t cry”) e che quindi nei primi tre quarti di film evita abilmente le trappole e i cliché del teen-drama. Le due protagoniste inoltre non fanno rimpiangere troppo l’originale, perchè la Moretz, a soli 15 anni e con un capello “pel di carota” che omaggia la prima Carrie, ha una dimestichezza e un curriculum nell’horror di tutto riguardo, mentre la sempre ottima Moore riesce a mantenere verosimile e inquietante il vero personaggio spaventoso della pellicola, la mamma di Carrie, una specie di ibrido tra Sarah Palin e la prima Pivetti, conciata da vecchia mormona e prigioniera in una casa senza televisione e computer come una amish.
Purtroppo all’originale si aggiunge un’attualizzazione della vicenda un po’ superficiale, che si limita a mettere degli smartphone in mano ai ragazzi e a passare i Vampire Weekend invece dei vinili da college degli anni ’70. L’ultima parte del film, che De Palma trasformò in uno dei suoi primi “assolo”, mostra invece tutti i limiti di una regia poco a suo agio, puntando troppo sugli effetti speciali e prolungando scene poco credibili (a tratti pare di assistere a un episodio di “Final destination”), lasciando qualche dubbio sulla riuscita e sull’opportunità di questa ennesima operazione di restyling.
Resta comunque sullo sfondo la consueta e sfacciata semplicità di King, che quando è ispirato non accusa lo scorrere del tempo e dimostra allora come oggi in che modo la grettezza mentale e il bigottismo della provincia americana, uniti al razzismo intrinseco di certi atteggiamenti adolescenziali possano generare mostri. Tanti anni dopo, con le immagini di Columbine e delle scuole americane messe sotto assedio da teenager armati come guerriglieri, la genialità lineare di questo artigiano di incubi moderni ne esce ulteriormente illuminata.
Titolo originale | Carrie |
Regia | Kimberly Peirce |
Sceneggiatura | Roberto Aguirre-Sacasa |
Fotografia | Steve Yedlin |
Montaggio | Lee Percy, Nancy Richardson |
Scenografia | Carol Spier |
Costumi | Luis Sequeira |
Musica | Marco Beltrami, Randall Poster |
Cast | Chloe Grace Moretz, Judy Greer, Portia Doubleday, Julianne Moore |
Produzione | Metro-Goldwyn-Mayer Pictures, Mishers Films, Screen Gems |
Anno | 2013 |
Nazione | USA |
Genere | Horror |
Durata | 100' |
Distribuzione | Warner Bros. Italia |
Uscita | 16 Gennaio 2014 |
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