Intervista a Silva Mazzotta, tra cinema e teatro, protagonista della pellicola “E-bola. Sulle tracce dell’epidemia” di Christian Marazziti presentato all’ultima edizione di CINEMA. LA FESTA DEL FILM DI ROMA.
Maturità scientifica, laurea in Economia e Commercio. Quando è nata la sua passione per la recitazione?
Sin da bambina direi, quando i miei giochi preferiti erano quelli in cui con le amiche mettevamo in piedi uno spettacolo.
Durante il periodo universitario mi sono approcciata a diversi laboratori anche se poi le materie che studiavo mi portavano altrove. Fino a quando la mia strada mi ha portato a reincontrare quella della mia vecchia compagnia (Marte 2010) e da lì non mi sono più allontanata.
Da “Faust a Hiroshima” fino ad “Ay Carmela” i suoi lavori viaggiano intensamente lungo un binario che va dal Teatro Civile al Teatro Esistenziale. Conferma?
Tutti gli spettacoli che ho fatto sono sempre stati progetti in cui credevo profondamente, che toccassero argomenti che valesse la pena trattare o meglio approfondire. C’è una necessità che parte da noi teatranti per portarla verso il pubblico. Per me è difficile fare uno spettacolo che non abbia un senso profondo in cui credo.
Un percorso che coinvolge anche l’ultimo suo lavoro presentato quest’anno a Cinema. La Festa del Film di Roma, con la pellicola “E-bola. Sulle tracce dell’epidemia.”
Il progetto nasce da Massimo Tortorella – il produttore del film con la Falcon Production nonché Presidente della Consulcesi Group – con lo scopo di dare maggiori informazioni sanitarie possibili su un tema di forte attualità come quello di Ebola, e farlo attraverso il mezzo filmico. L’idea è nata da lì, con l’intento di produrre pillole informative rivolte a personale medico. Poi con l’azione drammaturgica del regista Christian Marazziti e dello sceneggiatore Luca Monti, quello che doveva essere una serie televisiva si è trasformato in un progetto cinematografico. Io sono stata coinvolta successivamente sebbene il mio ruolo, quello della professoressa Sara Bianca, fosse stato pensato appositamente per me.
Un ruolo che mi permetteva di proseguire quel percorso iniziato con il teatro, fatto di temi dalla forte valenza sociale, civile ed anche profondamente umana, raccontando questi medici che dedicano la loro vita, lontano da famiglie ed affetti, alla cura degli altri. Sono storie che ritengo vadano raccontate.
Quali sono state le difficoltà di recitare in una lingua non sua, l’inglese?
Mi ha in parte aiutato il fatto di essere stata per brevi periodi a studiare negli Stati Uniti. E’ un’esperienza particolare perchè quando reciti in un’altra lingua c’è un’altra modalità di pensiero. E’ stato fondamentale sul set la presenza del nostro coach Michael Margotta che ci ha seguito passo dopo passo.
La pellicola, girata interamente in lingua inglese, sta avendo ora una distribuzione internazionale, ma sono curiosa di vedere il doppiaggio quando uscirà – in sala o in televisione – in Italia. Spero che almeno per il mio ruolo possa essere chiamata io stessa, anche se non ho esperienza in doppiaggio e doppiare se stessi mi dicono non essere per nulla facile.
Abbiamo parlato di Teatro Civile e Teatro Esistenziale, ma il suo curriculum porta anche un’esperienza di Teatro Terapia.
“Parkin-Zone” è un progetto, gestito ora da una Onlus, nato dall’incontro nel 2000 tra Nicola Modugno, neurologo, e l’Associazione Culturale Klesidra di cui faccio parte, per indagare gli effetti che il teatro e l’arte terapia possono avere sui pazienti parkinsoniani. Abbiamo iniziato questo percorso lavorando con i malati di Parkinson come se fossimo in un laboratorio teatrale vero e proprio con la supervisione di medici ed infermieri che ci spiegavano quali fossero le problematiche della malattia. Il progetto è poi cresciuto nel tempo dando vita ad una struttura indipendente. Durante la giornata del Parkinson abbiamo presentato il nostro lavoro e riscontrato tramite una ricerca scientifica i cui risultati verranno a breve resi pubblici, come il teatro e l’arte terapia più in generale non fanno guarire naturalmente dalla malattia ma supportano le persone affette ed i loro famigliari nella vita quotidiana, rallentando in parte la progressione della malattia stessa. Un lavoro veramente emozionante.
In questi giorni è in scena con “La Tredicesima notte”, altra tappa del tuo particolare viaggio?
Il titolo è ispirato a Shakespeare. Protagonisti otto rifugiati; otto personaggi shakespeariani che fuggono dai loro drammi e si ritrovano in un luogo indefinito a passare una notte prima di andare oltre, verso il proprio destino. Il linguaggio è antico, shakespeariano appunto, ma l’argomento è tragicamente attuale. Approfitto di questo spazio per ricordare che lo spettacolo sarà in scena dal 17 al 20 dicembre 2015 al teatro Sala Uno di Roma. Vi aspetto.
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