Fa bene riguardare vecchi film ogni tanto. Non per provare vuoti spasmi di malinconia o atletici slanci di modernismo. Fa bene perché si capisce che un altro mondo è possibile. Né meglio né peggio, diverso, lontanissimo, irreale ma esistito.
“La regola del gioco” (1939 Jean Renoir), questa strana commedia dove Marx si mescola con Marivaux, in una lotta di classe che si esalta e si stempera nel rituale amoroso, colpisce anzi strabilia l’assenza di qualsiasi ombra di cinismo e l’esclusione rigida di qualunque accenno satirico. E di materiale ce ne sarebbe. Gli aristocratici vuoti, inutili, ampollosi, la servitù meschina, rozza, subdola. Per non parlare del periodo storico, nel ‘39 scoppia la Seconda guerra mondiale. Sarebbe difficile oggi resistere alle battute al vetriolo, alle metafore capziose, ai ritratti caustici, al sesso esplicito. Sarebbe difficile oggi non prendere posizione.
E invece no. Il tratto principale è la leggerezza e l’umanità di ciascuno dei mille personaggi di questa commedia vaporosa nella forma e densa nella sostanza: dalla contessa all’aviatore, dal bracconiere all’artista tutti risultano veri, inquieti, superficiali, fragili, complessi, belli dentro.
Tutta questa comprensione, questo amore di Renoir per la razza umana rende più immediato, forte e incisiva l’inquietudine e la riflessione che piano piano trascolora dalle tinte leggere della commedia amorosa. «A questo mondo esiste una cosa terribile: che ognuno ha le sue ragioni». È la celebre frase pronunciata da Octave (interpretato dallo stesso regista). E in fondo questa abnorme aporia è il motivo originale di qualsiasi conflitto. Nessuno è cattivo, nessuno è un nemico, nessuno vuole la distuzione del prossimo, è solo la regola del gioco. E ci sarà sofferenza, e dolore e gioia e morte e distruzione. Ma alla fine come nel film tutto tornerà come prima. Esattamente come prima, tutti a pronti a giocare la prossima mano.
In conclusione è giusto ricordare come “La regola del gioco” uscito nelle sale nel 1939 in una versione tagliata e non conforme alle intenzioni del regista, fu un fiasco solenne e solo quando nel 1959 fu riscoperto dai Cahiers Du Cinéma che rimisero in circolo la versione integrale divenne d’incanto un grande classico del cinema francese, studiato ancora oggi. Segnò con vent’anni di anticipo l‘inizio di una nuova stagione cinematografica: la stagione della leggerezza e della profondità: la Nouvelle Vague.
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