Killers of the Flower Moon

La locandina

Torna Scorsese. E forse non serve altro per commentare il suo ultimo film “Killers of the Flower Moon”, dove troviamo i suoi capisaldi – soldi, violenza, petrolio, nascita di una nazione, arroganza dei bianchi – con gli attori di sempre. Anche questa volta l’America ne esce dolorante, o comunque svelata nei suoi colpi bassi e corruzione.

Siamo in Oklahoma, anni Venti: i membri della Nazione Osage scoprono che sotto la terra in loro possesso si cela il petrolio e, appena la notizia diventa di dominio pubblico, molti di loro vengono uccisi o iniziano a scomparire. A indagare, guidata dal ranger Tom White, giunge un’FBI ancora in stato embrionale. Il giovane stupido e manipolabile Ernest Burkhart (DiCaprio imbolsito ma in forma smagliante), reduce della Grande Guerra e sposato con l’indiana Mollie, scopre che sul banco degli imputati c’è suo zio, lo spietato proprietario agricolo William Hale (De Niro in purezza), che aveva spinto il nipote a sposare proprio un’Osage in modo da aver la possibilità di mettere le mani sui terreni. Burkhart rimane stupidamente a cavallo tra due mondi, il suo e quello della minoranza etnica, fino al processo finale. E Scorsese perpetua e racconta il massacro dei nativi americani da parte dei bianchi.