Siamo diversi ma uguali. La vita di ognuno di noi sin da piccoli è determinata dalla mescolanza di sentimenti contrapposti. Gioia, tristezza, disgusto, rabbia e paura. La differenza della mescola produce differenti comportamenti. Santo, puttana o tagliatore di teste, la base è sempre la stessa. Tutto è riconducibile, nel bene e nel male, a una logica di prevalenza. Sembrerebbe la tesi di “Inside Out”.

I gatti di Inside Out

I gatti di Inside Out

Una tesi dura nonostante il finale consolatorio (la ragazza protagonista del film ha dodici anni e ha già manifestato tendenze sociopatiche), senza salvezza, perché i cinque elementi all’apparenza così differenti, sono destinati a coalizzarsi nel tempo intorno al principio di sopravvivenza e autodifesa, un principio pericoloso che spazza l’etica e la tolleranza.

Ma una soluzione c’è: è il caos, o meglio l’assoluta casualità del sentimento. E un cameo geniale posto nei titoli di coda (la qualità del dettaglio e la capacità di spiazzare determina la grandezza di un opera), ci mostra la soluzione entrando nel cervello di un gatto. Mentre in quello umano le cinque pulsioni risultano tutte coese nel cercare di soddisfare, a qualunque costo, la piccola protagonista qui, dentro la testa felina, regna l’anarchia assoluta. Il disgusto dorme, la gioia passeggia indolente, la rabbia si avvicina alla postazione di comando, si ferma, non sa che fare, con la zampetta muove una leva a caso. Fuori nella vita reale il gatto soffia per un nano secondo, poi torna tranquillo come prima. Alla consolle la rabbia prosegue la passeggiata, la tristezza acciambellata ronfa, non c’è nessun disegno, nessuna volontà comune, succede quello che deve succedere, senza morale, senza angoscia, perché questa è la vita.

Il resto è roba per cani. O peggio, per uomini.