Nella Polonia degli anni ’60, cupa e comunista, la giovana orfana Anna (Agata Kulesza) sta per prendere i voti, quando viene a sapere che c’è una zia (Agata Trzebuchowska), giudice intransigente al serivizio del regime e dedito all’alcol, di cui non conosceva l’esistenza che vuole incontrarla prima che entri in convento. La ragazza viene così a sapere che i suoi genitori erano ebrei e che morirono durante le persecuzioni stalininiane e decide di partire in viaggio con la zia per fare luce sul proprio passato. In queste peregrinazioni si imbatterà anche in un giovane sassofonista jazz (Dawid Ogrodnik) che farà vacillare le sue intenzioni di rinunciare ad una vita terrena per diventare Ida.
Il giovane e dotato Pawlikowski ha deciso con questo bel soggetto di tornare a lavorare in patria dopo aver studiato e diretto con discreto successo in Inghilterra (“My Summer of Love, “Last Resort”) e si affida ad un bianco e nero algido e di grande impatto. La vicenda delle due protagoniste è raccontata attraverso lunghe riprese di camera fissa e primi piani e la recitazione delle due protagoniste (la giovane all’esordio, la più anziana proveniente dal teatro) pare volta ad un essenzialità quasi forzata al fine di evitare qualsiasi forma di pathos fuori luogo. Nell’affrontare un aspetto così doloroso della storia polacca, Pawlikowski ha dalla sua la filmografia di un gruppo di connazionali che ha insegnato cinema al resto del mondo.
Le denuncie degli orrori stalinisti di Wajda e Zanussi sono ben presenti in questo piccolo ma riuscito film, come soprattutto la maestria nel raccontare i dilemmi morali (di fronte a Dio e alle scelte di vita di tutti i giorni) che ha fatto ergere Kieslowski come un gigante nella storia del cinema degli ultimi decenni. Il fatto che questa immersione nella tradizione polacca sia di rimando (cioè da parte di un regista impregnato di cinema occidentale) ha giovato al film per quanto riguarda l’accoglienza nei festival di mezzo mondo (Toronto, Londra, Torino), ma forse ha nuociuto alla storia a causa di un approccio a tratti troppo estetizzante e la ricerca di qualche soluzione narrativa d’effetto.
Resta comunque un’opera di indubbio fascino, in cui le irresistibili sirene della libertà sono rappresentate dalle canzoni di Celentano e dalla musica di John Coltrane, in cui l’immortale dilemma tra amore divino e terreno viene risolto con un velato omaggio al meraviglioso episodio “Non commettere atti impuri” del Decalogo di Kieslowski (cioè nell’impossibilità di sintetizzare e definire l’amore in un singolo approccio fisico) e in cui viene ricordato a tanta Intellighenzia che mentre in Italia c’era chi leggeva il Capitale e immaginava mondi perfetti, a poche migliaia di chilometri, mentre la tv trasmetteva i quiz e il festival di Sanremo, qualcuno uccideva e perseguitava le minoranze come e peggio dei nazisti in nome di quello stesso libro
Titolo originale | id. |
Regia | Pawel Pawlikowski |
Sceneggiatura | Pawel Pawlikowski, Rebecca Lenkiewicz |
Fotografia | Lukas Zal, Ryszard Lenczewski |
Montaggio | Jaroslaw Kaminski |
Scenografia | Katarzyna Sobanska, Marcel Slawinki |
Costumi | Aleksera Staszko |
Musica | Kristian Selin Eidnes Andersen |
Cast | Agata Kulesza, Agata Trzebuchowska, Dawid Ogrodnik |
Produzione | Opus Film, Phoenix Film Investments, Portobello Pictures |
Anno | 2013 |
Nazione | Polonia |
Genere | Drammatico |
Durata | 80' |
Distribuzione | Pathénos |
Uscita | 13 Marzo 2014 |
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