Piccoli maghi crescono. L’adolescenza è alle porte con i suoi umori, i primi amori, le piccole incomprensioni e le grandi paure.
Questi sono i temi identificabili nella quarta avventura di Harry Potter, un fenomeno letterario prima e cinematografico poi di cui francamente ignoriamo le ragioni, almeno dal punto di vista cinematografico.
Tempi difficili attendono Harry Potter. Tormentato da incubi che rendono insopportabile la sua cicatrice, Harry dovrà affrontare i fantasmi del suo passato e soprattutto il suo acerrimo nemico, deciso finalmente a rivedere la luce dopo essere stato troppo a lungo citato, nominato, temuto nei primi tre capitoli, ovvero Voldemort insieme i suoi oscuri scudieri i Mangiamorte, con i quali fu visto per l’ultima volta tredici anni prima – la notte in cui furono uccisi i genitori di Harry.
Ma quello che doveva/poteva essere il tema centrale della pellicola, prende presto i contorni di semplice cornice ad una seconda storia, ovvero il Torneo Tremaghi, una delle competizioni di magia più eccitanti e pericolose per la comunità dei maghi, che si svolga a Hogwarts alla presenza delle più prestigiose scuole di magia come l’Accademia di Beauxbatons e l’Istituto Durmstrang. Potter, pur impossibilitato a partecipare per la sua giovane età, viene a sorpresa sorteggiato dal Calice di Fuoco, frutto di oscure presenze che si muovono nell’ombra sin nelle profondità di Hogwarts, ritenuta oramai non più un luogo sicuro per il giovane maghetto occhialuto.
Per oltre due ore e mezza siamo per così dire travolti da effetti speciali il più delle volte fini a se stessi che raggiungono il solo risultato di appesantire e soffocare la trama portante in se assai esile e disturbata in più da una serie di divagazioni, spunti, sottotrame buone per almeno altri quattro film compiuti.
Un inutile quanto sfarzoso profusione di denaro in un film che inizia a soffrire troppo la sua serialità, abbozzando solamente e rimandando sine die gli spunti più interessanti che si affacciano di tanto in tanto – vedi il rapporto tra Potter e Sirius Black, tanto centrale nel precedente e ricco di possibili evoluzioni, quanto abbandonato a se stesso in questo; come quello tra il maghetto e Voldemort risolto nell’ultima mezz’ora in maniera approssimativa e frettolosa.
Per il resto nulla di nuovo sotto il sole, o meglio sotto la celluloide. Il film conquisterà i ragazzini di tutto il mondo, il marketing promuoverà alla grande oggettistica varia legata al film, ma di cinema se ne vede assai poco.
Dopo il passo in avanti del terzo episodio di Alfonso Cuaron, in cui il regista aveva lasciato una propria impronta estetica, con Mike Newell torniamo indietro nel tempo, all’era di Chris Columbus, autore (?) dei primi due episodi, con una messa in scena di maniera, priva di spunti ed idee che non vengano dalla fabbrica di magie contemporanee, ovvero gli studi della computer grafica ed effetti speciali.
Titolo originale | Harry Potter and the Goblet of Fire |
Regia | Mike Newell |
Sceneggiatura | Steve Kloves |
Fotografia | Roger Pratt |
Montaggio | Mick Audsley |
Scenografia | Stuart Craig |
Musica | Patrick Doyle |
Cast | Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson, Robbie Coltrane, Ralph Fiennes, Michael Gambon, Gary Oldman, Alan Rickman, Maggie Smith |
Produzione | Warner Bros., Heyday Films, 1492 Pictures |
Anno | 2005 |
Nazione | USA |
Genere | Fantasy |
Durata | 156' |
Distribuzione | Warner Bros |
Uscita | 25 Novembre 2005 |
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