C’è una scena di “Julieta“ che spiega il carattere del film.
Lorenzo (Darío Grandinetti), il compagno in età matura di Julieta, tutto trafelato esce dal taxi per andare a casa. Ha fretta, molta fretta. Esce dalla macchina e si accinge ad attraversare la strada molto trafficata. Fa un passo poi ritorna indietro e si sincera di aver chiuso bene la portiera, ha un cenno di intesa col tassista e riprende il suo cammino.
E’ una sequenza insignificante, pochi secondi, che non nasconde nessuno snodo di sceneggiatura o significato psicologico del personaggio. E’ solo un dettaglio quasi impercettibile di realismo allo stato puro (succede esattamente cosi quando sei sovra pensiero, pensi di non aver chiuso la portiera, vai per chiuderla e ti rendi conto di averlo in realtà già fatto). Non un esercizio di stile fine a se stesso, ma un realismo profondo e soprattuto necessario, quando si ha a che fare con un melodramma cosi spinto ed esteso come l’ultimo film di Pedro Almodóvar.
Questo equilibrio sottile tra una storia piena di pathos, di colore, di musica e il rigore quasi maniacale della messa in scena, rendono Julieta un film credibile, vivo, intenso, struggente.
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